Numero 30

È stata la pausa più lunga di sempre tra un numero e l’altro di «Colla». Siamo stati lenti, lentissimi, abbiamo posticipato una, due, tre e ancora più volte, incredibilmente senza ricevere insulti dagli autori. E infatti agli autori dobbiamo dire innanzitutto grazie: per i racconti, certo, ma per la pazienza soprattutto. Pazienza che, se con i numeri più recenti di «Colla» si era dimostrata una qualità particolarmente apprezzata, qui è diventata sacra. Ci sono stati momenti in cui credere nell’effettiva uscita di questo numero 30 è assomigliato più a un atto di fede che di semplice fiducia.
Ma alla fine eccoci qua, con un numero che può definirsi speciale per almeno due motivi.

Un motivo è che per la prima volta ci siamo affidati a una call tematica: «Colla in giallo». Man mano che selezionavamo, tra i tanti arrivati, i racconti che più ci convincevano, ci siamo però accorti che la definizione di «giallo» stava stretta, motivo per cui il bollino dorato in copertina recita più genericamente «crime». Crime che qui risulta indagato in diverse delle sue sfumature.
Domenico De Musso con Milano siamo noi e Antonio Amodio con Meiyo No Chouken – a yakuza story, ci portano all’interno di un mondo criminale; da un lato quello legato ai gruppi ultras del capoluogo lombardo, dall’altro quello giapponese della yakuza.
Flavio Torba con Veri detective gioca con i cliché dell’hard boiled, aggiungendo una componente metaletteraria e tanta ironia. Ironia che diventa satira nel Figlio migliore della patria di Michele Frisia, che racconta il percorso verso le sfere alte della Polizia di Stato di un giovane con poco talento e molti appoggi.
Diego De Bellis con 23.12.1989 e Michele Renzullo con Il dolore delle aragoste si addentrano invece nel territorio del noir puro, accomunati dallo sfondo natalizio: da un lato un commissario che indaga sulla morte di una donna nella Milano bene di via Solferino («Non ci sono omicidi in via Solferino»), dall’altro un ispettore insofferente alle tradizioni festive familiari a cui è costretto, in una Napoli da cui vorrebbe scappare, mentre qualcuno sta rapendo e uccidendo ragazzine.
A confezionare il tutto l’azzeccatissima copertina di Simona Marano, altra persona a cui dobbiamo un altro grande grazie per la prontezza con cui è entrata in sintonia con lo spirito del numero. L’ultimo doveroso ringraziamento è per Mauro Maraschi, per il decennale supporto multitasking.

A questo numero manca un racconto che avremmo voluto fortemente, ma su cui siamo arrivati in ritardo: «inutile», forse la rivista a cui ci sentiamo più vicini per percorso, amicizia, stima, l’ha selezionato e pubblicato prima di noi (e prima significa nel 2023, giusto per rimarcare la nostra lentezza). Si tratta di Quindici indizi di una possibile infelicità di Matteo Quaglia, che intanto ha fatto anche in tempo a esordire con Nottetempo: al momento il racconto non risulta visibile, tuttavia lo si può ascoltare (qui: http://bit.ly/4k0LELI).

Che altro? Ah, sì, il secondo motivo per cui questo numero può definirsi speciale. Sono stati sedici anni bellissimi, pieni di incontri, soddisfazioni, scoperte, cotte letterarie, ma sedici anni sono tanti e noi ormai siamo persone con una vita molto diversa da quella che avevamo quando nel lontano 2009 abbiamo fondato «Colla» per provare a fare qualcosa che si avvicinasse anche soltanto un minimo alla figaggine di riviste di riferimento come «Eleanore Rigby», «FaM» e «‘tina». È quindi arrivato il momento di fermarsi e di regalare a «Colla» il suo meritato e onorevole riposo.

Due cose ancora, però:
1) tranne nel caso delle limitatissime copie cartacee del numero 25, siamo sempre stati una rivista esclusivamente online. L’idea di far sparire all’improvviso tutti i racconti che abbiamo pubblicato, senza che ne resti traccia nemmeno nelle librerie dei più affezionati, ci atterrisce. Motivo per cui continueremo a rinnovare il dominio affinché nei giorni di più tetra nostalgia chiunque possa tornare a leggere qualcosa.
2) stiamo comunque lavorando all’idea di un numero celebrativo che risulti effettivamente e ufficialmente il numero finale di «Colla». Ci riusciremo? Chi lo sa. Nel dubbio: a presto, è stato bello.

Marco Gigliotti

Francesco Sparacino

Milano siamo noi
di Domenico de Musso

«Fa male?»
È concentrato sulla mia faccia. Suda. L’ago va su e giù, penetra sotto la pelle dello zigomo; quando ripassa le linee sfiora l’osso. Resto immobile, non posso fare altrimenti. Ti muovi un po’ e vai in giro con uno sgorbio in faccia per tutta la vita. Continua a leggere…

23.12.89
di Diego De Bellis

A Milano piove da tre giorni. Le spazzole fanno rumore di gomma consumata e di pezzi meccanici su quel vetro della 127. Guido pensa che sia arrivato il momento di cambiarle. È in fila per entrare nel parcheggio interno della questura in via Fatebenefratelli e adesso sente l’odore dei tubi di scarico dell’Alfa 33 che lo precede Continua a leggere…

Il dolore delle aragoste
di Michele Renzullo

Queste pagine nascono già come un’ipocrisia. Tutti coloro che scrivono un diario sono ipocriti e bugiardi: affidano a un amico intimo un segreto, un segreto che vorrebbero fosse rivelato al mondo. E voi siete lì, altrettanto ipocriti, con una mano sugli occhi e le dita a siparietto per tentare di spiare. Volete proprio sapere perché uccido? Continua a leggere…

La buca delle voci smarrite
di Eduardo De Cunto

Quando ero piccolo uscivo tutti i giorni a giocare con Pio in quei campi che non erano campagna, perché troppo vicini alla periferia, e non erano periferia, perché di lì a pochi passi era campagna. E non erano neanche campi, in verità: erano distese di terra intervallate da qualche sprazzo d’erbaccia. Continua a leggere…

Piccoli atti sovversivi
di Carmen De Nisi

Piego l’angolo, prendo il cellulare, apro una nota e scrivo Fatto un orecchio alla pagina di un libro. A rileggerle una dietro l’altra le cose che annoto appaiono senza senso, e lo sono, le segno per capire se c’è un filo conduttore. Continua a leggere…

Assassinio senza pretese. Una storia da Valle Pelosa
di Alessandro Messina

Morì in un bel giorno di fine aprile lungo la riva sinistra del fiume Senno. Non aveva vent’anni, non aveva un fidanzato, non aveva mai lasciato Valle Pelosa. Non aveva avuto tempo.
Qualcuno le sparò un colpo al cuore. Continua a leggere…