Serata al massimo
di Andrea Santoro

Finalmente venerdì sera.
Aspetti le undici per uscire perché prima è da sfigati. A casa non sai cosa fare, sei stanco, vorresti mettere il pigiama e leggere Topolino, ma prima hai sentito i tuoi amici con un giro di sms, confermati da un altro giro di telefonate, e avete deciso di incontrarvi in un pub del centro e poi andare a ballare.
Prendi la macchina e passi a prendere un paio di amici. A mezzanotte stai ancora aspettando che scenda l’ultimo. Poi vi mettete in coda per arrivare in centro. State in coda mezz’ora, intanto vi raccontate la settimana passata. Alla radio c’è la stessa musica di Mtv: Madonna, Robbie Williams e Ramazzotti. Avresti voglia di bere una birra, già che sei fermo, ma aspetterai tra due ore quella del pub, che costa dieci euro. In macchina, che è un’utilitaria lunga un metro e mezzo e larga uno, siete in cinque, così vicini che ogni tanto qualche ragazza resta incinta.
Arrivato in centro giri mezz’ora per trovare parcheggio. Ci sono strade strettissime dove le macchine non sono parcheggiate in seconda fila, ma al secondo piano. Gli inquilini si fanno pagare a ore per affittare la cucina, o la sala da pranzo. Così pagano l’università ai figli in giro per l’Europa. Lo studio, per una Panda, costa in media trenta euro l’ora.
Quando va bene, entro le due hai trovato parcheggio. Il posto è quello sotto casa tua, accanto a dove avevi lasciato la macchina la sera prima. Poi con gli amici ti rifai a piedi tutto il percorso, e scopri che è una bellissima sera di primavera e ti compiaci di trovare il tempo di fare una passeggiata ogni tanto.
Arrivati al locale, finisci nel posto d’angolo circondato da giacche e giacchettine. Alla radio i soliti tre cantanti ripetono le stesse cose che dicevano già su Mtv. Quando la ragazza che serve ai tavoli porta il conto ti sei chiesto perché non sei andato al ristorante che magari spendevi di meno.
Uscito dal locale parti alla volta della discoteca. Torni a prendere la macchina, rifai tutta la trafila del parcheggio e, verso le quattro, arrivi di fronte al locale. È lì che ti rendi conto che l’espressione “andare in discoteca” è sbagliata, e va sostituita con quella “andare davanti alla discoteca”. Te ne stai lì con gli amici al freddo e bestemmi pensando alla passeggiata tranquilla di qualche ora prima. Le ragazze in discoteca hanno la precedenza e spesso entrano gratis. Eccola l’unica vera politica di sostegno alla natalità nel nostro Paese.
Entrato finalmente in discoteca, ascolti la musica e rimpiangi le radio di prima, quelle con i soliti tre cantanti. Adesso il ritmo martellante di questo fracasso ti ricorda quella volta che avevi quaranta di febbre e ti scoppiava la testa. Poi pensi che hai pagato quindici euro per questo e la tua sicurezza, dopo sei ore che sei uscito di casa, comincia a vacillare.
Nel locale i bagni non hanno le porte, peggio che in campeggio. Lo fanno perché se no la gente chissà cosa fa, magari fa sesso o si droga. Il risultato è che la gente fa sesso e si droga davanti a te. A te va bene così, ma alla coppietta su di giri che si trova costretta a condividere il coito col resto del locale, non tanto. «Già che ho visto tutto, posso unirmi anch’io?» vorresti chiedergli mentre esci dal gabinetto…
Vai a prendere da bere e te lo servono nei bicchieri della granita, quelli di quando avevi sei anni e giocavi con le biglie in spiaggia (ai tempi anche le bambine amavano giocare con le biglie. Adesso la cosa si è fatta un tantino più complicata). I bicchieri comunque li vedi solo passare. La coda al bancone è una bolgia senza inizio né fine, che presto ti fa dimenticare non solo cosa stai facendo, ma anche chi sei.
Quando esci dal locale ti dirigi barcollando verso la macchina. Non hai bevuto niente (dopo un’ora e mezza di coda hai avuto una crisi e sei scappato piangendo), in compenso la musica martellante ti ha fatto venire la febbre per davvero. Sali sulla tua utilitaria e riparti verso casa. Hai un sonno micidiale, sono le sei del mattino. Di solito a quest’ora stai entrando nella fase REM del sonno, quella dove sei con la tettona sulla spiaggia e lei ti slaccia il costume, ma ti accorgi che non puoi ancora andare a casa perché bisogna prendere il cornetto dal fornaio. Buono, pensi, ma il fornaio i cornetti li ha finiti, e la pizza alle cipolle su cui ripieghi è un mattone che ti fa affondare lentamente come il Titanic.
Alle otto, esausto e malato, rientri a casa. Fuori c’è il sole, ma tu non lo vedi perché la cappa di smog blocca l’entrata a qualsiasi raggio di sole, peggio di un pensiero onesto nella testa di Andreotti. Gli uccellini sono fuggiti per lo smog agli inizi degli anni settanta (per vedere il verde devi mettere su Canale 5 e aspettare la pubblicità del Mulino Bianco). Esausto e ingrigito ti metti a letto e chiudi gli occhi.
Appena prima di dormire qualcosa ti disturba. Due orecchie nere, grandi e tonde. È Topolino, che ti guarda da dietro un sorriso deformato. «Mi raccomando, riposa,» ti dice, «oggi è sabato, e stasera si ricomincia.»

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