Sangue ovunque
di Giacomo Buratti

Sì, Cristina avrà pure raccontato in giro che la cosa più sconvolgente, ripensandoci, era il rotolo di carta igienica lì sul tavolo della cucina, ma sappiamo tutti benissimo che è tanto per dire. Quando entri in cucina per un bicchiere d’acqua e trovi tua madre per terra in un lago di sangue e tua zia con le spalle e i pezzi del cervello addosso allo stipite della porta, la cosa che veramente ti sconvolge non è proprio della carta igienica. Il cadavere di tua madre e quello di tua zia sono sconvolgenti. Punto. D’altra parte, se uno racconta una storia, certe volte ha bisogno di usare dei simboli o roba del genere, soprattutto se è la figlia che all’improvviso si trova sola di fronte a uno spettacolo tanto orribile e deve trovare un modo per elaborare. La carta igienica sul tavolo della cucina per lei dovrebbe rappresentare l’assurdità o lo straniamento, la dissoluzione dell’istituzione familiare o il pulp [a livello meta-letterario]. Grazie a Dio, adesso non è l’insopportabile orfanella Cristina a raccontare, e il suo ruolo qui non è poi così centrale. Meglio levarsela subito di torno.

Cristina detesta la zia per una serie di motivi che non approfondiremo in questa sede, e non vive più con la madre da anni. Ogni tanto le capita di tornare a casa per il week-end. Questa volta è andato tutto storto. È scesa dal treno verso le sette e ha preso la navetta dalla stazione a casa. Lì ha abbandonato la valigia viola all’ingresso e si è precipitata subito in bagno, ha fatto quello che doveva fare, si è lavata la faccia e le mani, è andata in cucina per un bicchiere d’acqua e ha trovato la madre e la zia morte, sangue ovunque, la carta igienica e tutto il resto – lei l’avrà ripetuto centinaia di volte: le urla, i tentativi inutili di soccorso, la polizia, le domande, la scientifica, un po’ di vero e un po’ di quello che si vede nei primi minuti di C.S.I.

All’inizio di quel giorno, Cristina – che sul treno aveva ammazzato il tempo con il podcast di This American Life, giocherellando con lo smartphone e ascoltando i Bright Eyes – non poteva certo immaginarsi che si sarebbe trovata in un obitorio, alla fine. E, ovviamente, nemmeno la madre1. Tuttavia Claudia [è così che si chiama – cioè, si chiamava], la notte prima, mentre provava a smettere di pensare all’indomani per riuscire ad addormentarsi, si era ripetuta più volte che se avesse passato anche quello non l’avrebbe ammazzata più niente2. Ultimamente, Claudia aveva trovato sempre più faticoso avere a che fare con i clienti, in particolar modo con le coppie [nel gergo di Claudia, le Spose] che volevano l’allestimento [un addobbo] per il matrimonio in chiesa o in comune [e poi? ti pare che c’è solo quello? e i centrotavola per il ristorante? e i fiori all’occhiello? e l’addobbo dei portoni da dove escono gli sposi? e il mazzetto? ti dimentichi il mazzetto della sposa?].

Claudia doveva incontrare una Sposa temibile. Si erano sentite per telefono un paio di volte, che erano servite a porre le basi per un rapporto di reciproca sfiducia e ostilità gratuita. Se neanche uno dei fiori che aveva richiesto poteva essere reperibile, la Sposa ci teneva a sottolineare che era sicura che fosse per la poca professionalità di Claudia, invece che per il ciclo delle stagioni. Ma se chiedeva un anthurium o un amaryllis, la fioraia non esitava a rispondere che non poteva avere sempre in negozio tutti i fiori da farle vedere, ché evidentemente lei non voleva credere alle sue parole e faceva solo finta di non capire. E se Claudia era convinta che la parte più difficile sarebbe stata farle entrare in testa che gli ottocento euro che lei pretendeva di spendere non sarebbero mai bastati a soddisfare ogni sua richiesta, la Sposa aveva deciso di stupire ed era arrivata all’appuntamento con un vaso cilindrico di vetro trasparente alto un metro e mezzo, che nelle sue intenzioni doveva contenere un tulipano il cui stelo ne avrebbe dovuto coprire l’intera altezza.

«Ce l’ha un tulipano da farmi vedere?»

«Oggi no. Comunque non esistono tulipani alti un metro e mezzo. Non esistono proprio.»

«Se lei ce ne avesse uno qui magari potrei rendermi bene conto di fino a dove può arrivare» aveva detto la Sposa indicando la metà del vaso vuoto.

«Guardi, non c’è bisogno. I tulipani arrivano a una trentina di centimetri massimo» aveva detto Claudia indicando un punto dieci centimetri sopra il fondo del vaso.

«Lei è sicura che non si trova qualche tipo particolare di tulipano, magari dall’Olanda, che arrivi almeno, chessò?, a due terzi del vaso?»

A Claudia per un attimo era sembrato di poter sentire sua sorella dire: «Che perdi altro tempo a discuterci, con questa?»3. Poi aveva risposto: «Mah, io faccio questo lavoro da vent’anni e non ho mai visto tulipani tanto alti. Possiamo provare con un altro fiore, tipo un lilium, o una strelizia».

La Sposa aveva indicato un’orchidea e aveva detto: «Il lilium qual è? Quello?»

Claudia aveva estratto un brutto lilium giallo da un vaso e gliel’aveva dato. «Il lilium è questo qui. Certo, per l’addobbo lo prendiamo del colore che aveva scelto.»

«No, per carità. Non mi piace. Qual era l’altro che ha detto prima?»

«La strelizia?»

«Oddio, qual è? Non ce l’ha qui? Lei è inutile che mi dice questi nomi se tanto poi io non so quali sono i fiori.»

La sposa aveva ridato il fiore a Claudia, perché lo riponesse nel vaso, e si era seduta sulla panca sulla quale aveva poggiato, entrando in negozio, il vaso. Claudia allora se n’era appropriata e l’aveva messo sul bancone da lavoro. Aveva tolto la carta protettiva ancora all’interno e aveva detto: «Ma lei vuole che il fiore esca dal vaso? Perché a questo punto potremmo metterci un bel, per dire, un bel ramo d’orchidea, tipo la phalaenopsis, e basta. Senza niente che esca fuori».

«La signora ha ragione» aveva detto la madre della Sposa [c’era anche lei con la figlia. Aveva evitato di intromettersi fino a questo punto, ma si era accorta che quello poteva essere un punto di svolta e aveva parlato] con voce flebile e incerta.

«Che ne sai tu?» aveva subito detto la figlia; ma la madre aveva deciso di rischiare e si era rivolta direttamente a Claudia: «Ce l’avrebbe, signora, una di queste orchidee per farci vedere come potrebbe venire?»

Claudia aveva sorriso alla signora, aveva preso un’orchidea rosa e l’aveva calata all’interno del vaso con cautela. «Poi se ne trovano di più lunghe. E volendo possiamo aggiungere del verde, o qualche oggetto per decorare, tipo biglie, o sabbia, o i sassolini.»

La Sposa aveva mosso gli occhi dal vaso alla madre al pavimento, e con uno scatto rapidissimo si era alzata dalla panca e aveva detto: «No, non mi piace. Io voglio che il fiore esce fuori». Aveva preso il vaso e, mentre tirava fuori lei stessa l’orchidea, Claudia aveva sentito il bisogno di far sentire la sua voce per ricordarle che stava maneggiando fiori che si rompono con niente.

«Io le avevo già detto quando ci siamo sentite al telefono che i vasi posso procurarmeli io. Se vuole ne cerco di più bassi. Sempre fatti in questo modo, ma più bassi. Tanto poi abbiamo ancora tempo.»

Il rumore della carta infilzata a forza nel vaso aveva coperto le ultime parole. La Sposa a testa bassa stava radunando i ritagli di riviste specializzate che aveva sparso per tutto il bancone quando, allontanata la madre, aveva sibilato: «A me mi piacevano i tulipani».

«Sì, be’, le ho spiegato che i tulipani— »

«Senta!» l’aveva interrotta, e brandendo un vaso di vetro di un metro e mezzo di altezza e almeno dieci di diametro aveva aggiunto: «E se attaccasse il gambo di un altro fiore al gambo del tulipano, tipo con lo scotch?»

Claudia solo allora sia era accorta di stare indietreggiando. Si era fermata, aveva incrociato le braccia e le aveva sciolte subito.

«Mah» aveva detto, «potremmo pure provarci».

 

Ti pare che Cristina non si commuove ricordando l’ultima telefonata alla madre, verso l’una di quel giorno? Le aveva detto che sarebbe scesa dal treno verso le sette ma non si doveva preoccupare perché alla stazione avrebbe preso la navetta. La madre le aveva risposto qualcosa tipo «Va bene» e «Ci vediamo dopo» e nient’altro. Ma erano state le sue ultime parole, e all’occorrenza nella sua versione sono o dolcissime o offuscate come da uno strano presentimento.

A Claudia, quando le aveva telefonato la figlia, giravano veramente le palle. La Sposa era appena uscita. L’incontro era andato peggio del previsto; era sicura che avrebbe perso quel lavoro. Ciò da un lato la confortava – perché sapeva che lavorare per quella Sposa le avrebbe fatto perdere il lume della ragione, se non i soldi – ma dall’altro le metteva il dubbio che non fosse davvero più in grado di accontentare i clienti. Di fatto, prima di potersene rendere conto, si era ritrovata da sua madre.

La signora Carla era venuta ad aprirle dopo cinque minuti buoni da quando Claudia aveva suonato il campanello, l’aveva accolta in casa senza il minimo cenno di benvenuto e se n’era tornata in cucina barcollando. A metà strada aveva esclamato: «‘St’anca!», mentre la figlia la superava e andava a scoperchiare tutto lo scoperchiabile sopra i fornelli.

«Te li vuoi portare via due involtini? Io tanto non li mangio tutti, qui da sola.»

Claudia aveva declinato l’offerta. Si era fissata sulla replica di Don Matteo in onda su RaiUno. La signora Carla aveva prima alzato il volume, poi l’aveva abbassato al minimo e in un grosso sospiro aveva detto che Cinzia, l’altra sua figlia, sarebbe passata nel pomeriggio.

«Passa in negozio?» aveva chiesto Claudia.

«Dice che dovete parlare» aveva detto la madre. «Io non so niente e non mi interessa.»

La signora Carla aveva chiuso quattro involtini di carne in un contenitore di plastica che aveva poi posato sulla tavola apparecchiata per uno. La figlia aveva preso gli involtini ed era già fuori dal portone quando aveva sentito la madre per l’ultima volta dire: «L’anca!»

 

Cinzia aveva fatto il suo ingresso nel negozio di fiori nel momento esatto in cui la sorella si era decisa a chiudere in anticipo per andare al supermercato. Un braccio gravato da tre enormi shopping bag piene di capi d’abbigliamento da massimo sette euro l’uno, l’altro dalla borsa in finta pelle da cui pendeva il logo contraffatto di un noto marchio, Cinzia aveva quasi annaspato fino al bancone, aveva lasciato cadere a terra un paio di magliette in lycra e aveva iniziato ad asciugarsi la fronte con un fazzoletto di seta bianco. Se non avesse tenuto lo sguardo basso per tutto il tempo, Claudia avrebbe avuto la certezza assoluta che sarebbe stato mille volte meglio chiudere in anticipo.

«Non puoi capire quante me ne sono successe mentre venivo qui.»

Claudia adesso aveva gli occhi negli occhi della sorella. Tutte e due sapevano che non era vero. Che niente di quello che Cinzia avrebbe detto con quel tono di voce, con quel fazzoletto a tamponare la fronte perfettamente asciutta, con quella finta pelle e quei vestiti da discount, niente sarebbe stato vero. Pure, la scena prevedeva un frizzante scambio di battute, e sottrarsene avrebbe significato improvvisare, e Claudia non ne aveva la voglia, e Cinzia la capacità. L’una aveva fatto domande, l’altra aveva risposto con le storie che si era preparata: tutto era in ordine.

Cinzia aveva tirato fuori dalle buste qualcuno dei suoi acquisti esponendo la merce sul bancone, quando uno di quei negri che vendono calzini era entrato nel negozio pronto a fare lo stesso. Claudia gli aveva detto che non le serviva nulla offrendogli una moneta da due euro. Lui aveva ringraziato ed era uscito4.

«Che dai via i soldi per niente?» aveva detto Cinzia. «Almeno potevi prendere un paio di calze. Se no io pure adesso mi metto a girare per negozi così.»

Claudia aveva indicato il bancone ingombro di jeans e magliettine e le aveva fatto notare che se c’era qualcosa di cui non aveva bisogno era un’altra scusa per andare per negozi. Cinzia allora, rimettendo tutti i vestiti a posto, era stata molto specifica su quanto poco avesse speso – considerando il rapporto qualità-prezzo! – e aveva aggiunto che qualcosa l’aveva preso anche per Cristina, ché lo sapeva che tornava.

«Te l’ha detto lei?» aveva chiesto Claudia.

«No. Lei praticamente non mi parla. L’ho visto scritto su Facebook.»

«M’ha detto che stava sul treno; dovrebbe arrivare tra una mezz’ora. Mi sa che chiudo e la passo a prendere io alla stazione.»

«Già chiudi?»

«Veramente è da un’ora che dico che chiudo e invece sto qui. È stata una giornata pesante.»

«È venuta quella matta lì, quella che si sposa l’anno prossimo?»

E Claudia aveva cominciato a raccontare del vaso di vetro e dei tulipani di un metro e mezzo, e aveva concluso come concludeva sempre: «Il bello è che questa gente pensa che sia tutto dovuto. Non si rendono conto del lavoro che c’è dietro – solo sopportarla, la Sposa di stamattina, è stato un lavoro – e non te lo pagano».

Cinzia si guardava le punte dei piedi. Anche se ne aveva sul serio bisogno, non aveva ritirato fuori dalla tasca il fazzoletto di seta.

Nonostante non si sia ancora arrivati a stabilire scientificamente la correlazione tra l’andamento prosodico di una frase e l’intenzione (e l’emozione) del parlante che essa veicola, il fatto che Cinzia avesse iniziato a parlare in un tono diametralmente opposto a quello che aveva usato all’inizio, aveva portato la sorella a prendere le sue parole con molta cautela, sebbene quelle parole non fossero che una serie di banalità sull’aumento indiscriminato dei prezzi, il costo della vita, la differenza tra beni di prima necessità e roba come i fiori, ecc. ecc.

«Vabbé, ma che significa?»

«No, niente. È che pure tu ogni tanto dovresti metterti nei panni degli altri. Cioè, dovresti capire che una non può avere tutto.»

Claudia aveva guardato fuori dalla finestra e aveva detto: «Ma stiamo ancora parlando della Sposa?»

Cinzia aveva preso il portafogli nella borsa e ne aveva estratto una busta di carta rosa con su scritto Claudia, in rosso. L’aveva lasciata sul bancone e affrettando i saluti aveva fatto per andarsene, quando la sorella, prendendo la busta, le aveva chiesto se non volesse restare a cena con lei e la figlia. Cinzia, sorridendo, aveva detto: «Quella non mi sopporta», aggiungendo che si sarebbe fermata volentieri.

Avevano preso ognuna la propria auto. Claudia aveva parcheggiato nel suo garage quando erano ormai le sette e mezza. Cinzia – che se la prendeva sempre comoda – era arrivata alle otto. Aveva abbandonato la borsa e le buste coi vestiti nuovi all’ingresso, vicino alla valigia viola. Da lì aveva sentito la sorella dire: «Chi l’ha lasciata qui, la carta igienica?»

 

 

1 Un proprietario di un piccolo negozio di fiori che tira su la saracinesca al mattino col presentimento che verrà ucciso brutalmente è materiale per un film con Ben Affleck.

2 Se Cristina l’avesse sentita avrebbe avuto un incipit incredibile.

3 E se l’era immaginata che, mentre lo diceva, tirava fuori da una borsa enorme un paio di occhiali da sole e se li inforcava.

4 L’uomo si trova attualmente in carcere, accusato di duplice omicidio.

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