Lu Sule B&B
di Andrea Donaera

[...] non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.
Giorgio Caproni, Alba

Quant’è grande il dolore tra le stanze
di un B&B: con i peli di cazzo
e il sangue di mestruo tra le lenzuola
che imbusti provando a non respirare,
i guanti di lattice troppo stretti,
uno ti si sfila via, inorridisci,
ti casca tutto per terra, è tardi,
tra poco chiude la lavanderia,
infili un altro guanto, ti si strappa,
un altro, allora, devi far veloce,
ma ti fermi, d’improvviso, ti accorgi:
da giorni parli solo, a bassa voce:
da quanto siete soli tu e la tua
voce? Quant’è piccola la tua voce?
Intanto si fa più grande l’odore 
dalle lenzuola, orrido, di sudore.

Saresti stato certo –
se avessi avuto tempo –
non c’era alcun motivo –
nessun motivo vero –
hai costruito tu tutto –
esigenze, bisogni –
raggranellare soldi –
arricchire il curriculum –
adesso hai competenze –
skills con i social media –
strategies, problem solving
le aziende non ti cercano –
sei tu che cerchi loro –
Linkedin, conoscenti –
amici ammanicati –
amici di parenti – 
Lu Sule B&B –
seicento euro al mese –
contratto di tre mesi –
cercasi admin senior
nessun ragionamento –
soltanto l’emozione –
di avere un giorno forse –
la disoccupazione –
ed eccoti nel caldo –
mezzo ventilatore –
sei sempre troppo stanco –
ma è sempre troppo poco –
i check-in, i check-out –
ufficio informazioni –
gestione social network –
pulizia di tre camere –
fatture, colazioni –
lavanderia, e-mail –
sette giorni su sette –
dieci o dodici ore –
prenotazioni, chiavi –
mazzi su mazzi, porte –
costanti nella testa –
pensieri sulla morte.


«In fin dei conti è soltanto lavoro»
ti sei detto e ti hanno ridetto tutti
sempre, in ogni bolla, in ogni occasione
con la severità di chi lo sa
certo meglio di te: o così o così.
Eppure: no. «È questione di denaro,
maledette voci amiche, è così»
ti sei risposto e continui a risponderti
sputando di nascosto sui profili,
su chi ce l’ha fatta, sui loro figli, 
«Denaro solamente, questo siete»,
tra te e te, mettendo mi piace ipocriti,
rimpinguando i tuoi vuoti nelle tasche
con selfie sorridenti in riva al mare
[ma anche tu, adesso, questo solo sei:
denaro da fare per aspettare
di poter fare altro denaro poi
(magari con un lavoro da scrivere
ordinatamente nei tuoi dettagli
su quel social dove fingi di vivere
lanciando una volta al giorno un segnale
caustico, sagace, quasi geniale
criptando il messaggio fondamentale:
tu non vivi davvero: tu stai male)].

Potrebbero andare avanti per ore
davanti a te e alla loro colazione
le tre giovanissime siciliane
(che a te ti sembrano però signore:
i seni enormi tutti e sei, le facce
segnate da fatiche quotidiane:
sedici, diciassette e diciott’anni,
ma tutte già lavorano, d’inverno
niente scuola, ma: rosticceria, fabbrica,
tabaccheria). Parlerebbero ancora,
ma ti alzi, dici che hai tanto da fare,
loro ci rimangono un poco male –
credi: non è così: una ti chiede,
col tono da rosticciera che serve,
se ti va di andare in camera loro.
«Ci rilassiamo un po’» dicono in coro.
Ti sorridono, tutte e tre, serene:
e ti sembrano libere: da tutto:
quasi piangi mentre dici: «Va bene»,
quasi non pensi al tuo corpo distrutto.

Per nulla indebolita
dal quarto d’ora anale
urla, la diciottenne,
lancia via le ciabatte
[lo vedi volteggiare:
il fronzolo banale 
Lu Sule B&B,
quel logo che detesti,
è ovunque nella stanza
(adesivi sui mobili,
sulla tv, magneti
sul frigobar, sui termo,
ricami sulle federe,
su di ogni asciugamano,
sulle ciabatte a fiori,
quelle che lei ora lancia
urlando «Porca troia!»)],
la sedicenne chiede:
«Ma che cazzo succede?»,
ma la diciassettenne:
«Minchia! Ho capito, io!»,
la diciottenne: «Sì?
Sbrigati, allora, sbrigati!»,
la sedicenne strilla:
«Ma mi volete dire?»,
tu intanto resti zitto,
steso, nudo, sudato,
stai forse quasi bene,
sei leggero e svuotato,
col cazzo che ti scema
nel Durex seccato; 
e bussano alla porta,

nella stanza è il silenzio, negli occhi delle tre
il terrore più enorme, bussano, e poi una voce,
«Apri o sfondo la porta, apri troia, o sei morta»,
nella stanza è il silenzio, tu sorridi: ti piacciono,
pensi, questi signori capaci d’ogni cosa
per l’onore e le donne, il contrario di te,
vivono nell’estremo, sfondano anche le porte,
capaci anche di uccidere, capaci anche di morte.

La porta la sfonda davvero. Ed entra.
La prima cosa che guarda sei te,
solo un’occhiata rapida alle tre,
poi colpi e respiri e sangue e silenzio,
poi colpi e sangue ancora e le lenzuola
e le federe, Lu Sule B&B,
e un allarme ti scatta nella testa
spaccata da due colpi di estintore:
se vivi come puoi giustificare
in lavanderia tutto questo rosso?
Questo è il terrore che ti rode, questo,
è questo adesso il problema più grosso.
O forse no. Anzi: senz’altro no:
la porta. Chi la potrà riparare?
Chi, senza fattura, senza parlare?

Dal bar di sotto arrivano
chiari amori e capoeira,
lo sbattere di birre
(e lui che non si ferma:
ti dice: «Brutta merda,
scupàsti a donna mia»),
sorridi largo dentro
per questa trenodia –
e rantoli nel nero
(sei simile a ogni notte
degli ultimi due mesi),
con gli occhi gonfi e ciechi,
i denti giù in gola,
hai rabbia: non dolore:
trovi un respiro, chiedi:
«Ma tu… ripari porte?»
E ti piomba (ci pensi:
sul lavoro!): la morte.

Questo articolo è stato pubblicato in numeri, numero 27 e ha le etichette , . Bookmark the link permanente. I commenti ed i trackbacks sono attualmente chiusi.