La solitudine di un idraulico
di Andrea Guano

Visto che in quella città non conosceva un cavolo di nessuno, a Gaspare Gargiulo non restò altro da fare che cercare una camera in affitto. In un bar consultò le pagine gialle: camere in affitto o pensioncine ce n’erano decine. Scelse una pensioncina, Sogni d’Oro, che gli parve beneaugurante.
La signora Mandelli, proprietaria della pensione, lo accolse come accoglieva gli altri inquilini: con fredda gentilezza. Non fece molte domande. In compenso gli chiese l’anticipo di una mensilità.
«Ecco qua» disse Gaspare, allungandole quattrocento euro. Non che avesse tanti soldi con sé, anzi. Però, essendo un buon idraulico, contava di trovare qualche lavoretto nel giro di poco tempo e ampliare alla svelta la sua clientela.
«Bene» disse la signora Mandelli, ficcando i soldi nella tasca della vestaglia sdrucita. Prima di uscire dalla stanza si voltò. «Ah, mi raccomando. Niente amici, niente donne.»
Amici? Donne? E dove se li andava a pescare? Volendo, avrebbe potuto trovare qualche prostituta, ma col rischio concreto di beccarsi un verbale o, peggio, una multa; per via dell’ordinanza emanata dal sindaco su lucciole e clienti, bisognava andarci cauti. Gaspare non poteva certo permettersi di sgarrare, coi soldi. Perciò buttò là un mezzo sorriso scemo e disse: «Non si preoccupi».
Non appena l’affittacamere chiuse la porta, disfece due valigie male in arnese e mise la sua poca roba nell’unico armadio, un mobile vecchio, tarlato. Appese poi alle pareti due quadretti nei quali era raffigurata mammà, che sembrava fargli un perpetuo ciao con la mano. Quindi si sedette sul letto e pensò al suo futuro pieno di incertezza.

Pochi giorni dopo, Gaspare fece un paio di lavoretti: aggiustò lo scarico del bagno della signora Mandelli, che lo ricompensò con un bel grazie e un caffè di pessima qualità; quindi, a un’amica della signora Mandelli, sostituì le guarnizioni a due rubinetti, intascando venti euro. Poca roba, ma sempre meglio di niente. E poi, Gaspare era sicuro che il tempo avrebbe lavorato a suo favore e difatti, nel giro di un mesetto, grazie al passaparola, il lavoro aumentò. Bisogna dire che non c’era lavoro che rifiutasse, neppure i più scomodi, neppure quelli che molti suoi colleghi non prendevano in considerazione perché c’era da rimanere con la schiena piegata per ore.
Tutti i clienti per i quali lavorava pagavano senza fiatare, offrendogli a volte un caffè o un bicchiere di vino. Certo, la concorrenza era tanta e sarebbe aumentata, considerata la crisi che era piombata come una strega nelle case. Ogni giorno c’era il rischio che il mercato si trovasse con una manciata di idraulici in più, magari stranieri, immigrati, gente inesperta, che si arrabattava per campare. Ma Gaspare non temeva la concorrenza, sapeva che un vero idraulico non si inventa dall’oggi al domani. Ad ogni modo, lui, pur non conoscendo nessuno, riusciva ad accaparrarsi lavori su lavori. E dopo un altro paio di mesi poteva dire di non passarsela male. Certo, abitava ancora in una stanza in affitto, un appartamento di proprietà era un miraggio, ma il suo ottimismo lo induceva a credere che nel giro di un anno o poco più avrebbe messo su un bel gruzzoletto.
C’era un solo neo nella sua vita: la solitudine. Un brutto neo, di quelli che, se trascurati, possono mandarti all’altro mondo in un amen. La solitudine aveva accompagnato ogni passo di Gaspare già nel suo paese d’origine. Figurarsi adesso che aveva fatto il gran passo, lasciando mammà e cambiando città.
Finché maneggiava tubi, sistemava piatti doccia, sturava lavandini, riusciva a lasciare la solitudine fuori dalla porta, come se le dicesse adesso fa’ la brava, aspettami lì che fra sei o sette ore arrivo. E durante quelle sei sette ore fischiettava contento, o canticchiava canzoncine del suo paese.
I guai cominciavano quando finiva il lavoro.
Appena oltrepassava la porta di casa della cliente di turno, là fuori, ad attenderlo, trovava un’altra signora: madame Solitudine che, contrariamente alle clienti con cui aveva a che fare, era pronta a gettargli le braccia al collo.
L’invadenza di questa signora, e le strampalate lettere di mammà, inducevano sempre più spesso Gaspare a pensare che doveva decidersi una volta per tutte a trovare una donna, magari di un paio d’anni più giovane di lui, che preferibilmente facesse un lavoro che la metteva a contatto con l’acqua, i rubinetti, i lavandini. Il top sarebbe stata una lavapiatti o una cuoca. Ma, tagliato fuori com’era da tutto e da tutti, non poteva certo star lì a cercare il pelo nell’uovo.
Vero è che ogni giorno Gaspare ne vedeva un sacco, di donne, alcune anche carine, ma presto aveva scoperto che erano barzellette quelle che raccontavano i suoi colleghi, con i quali parlava pochissimo, praticamente solo se costretto, quando andava in qualche negozio di idraulica per rifornirsi di materiale. I suoi colleghi ghignavano come iene mentre raccontavano di tutte le donne che si scopavano. C’era addirittura chi sosteneva di farsi una scopata quasi ogni giorno, nel primo posto che capitava a tiro: sul tavolo della cucina, nel bagno, a volte persino in cantina.
Gaspare non credeva a una sola parola di quello che dicevano. A lui non era mai capitata una donna che gliela sbattesse in faccia. Al massimo qualche tipa gli rivolgeva un sorrisetto gentile, ma nessuna, mai, si faceva trovare seminuda o gli si strusciava contro mentre lavorava. E sì che ogni giorno sperava di incontrare una donna separata, o anche vedova, anche se le vedove lo intimorivano un po’, perché in genere non facevano che straparlare del marito defunto. Quelle rarissime volte che qualcuna si dimostrava disposta a scambiare quattro chiacchiere – in genere zitelle che non sorridevano mai e che posavano su di lui uno sguardo occultato da un paio di lenti spesse quasi un centimetro – veniva preso da un singhiozzo nervoso e faceva saltellare la chiave inglese nelle mani, rammentando le parole di mammà: ricordati, Gaspare, sul lavoro non dare mai confidenza a nessuno, tantomeno a una donna, ché quelle vogliono solo mangiarti dei soldi.
Un’agenzia specializzata nella ricerca della propria anima gemella: ecco il modo migliore per riempire il vuoto che c’era nella sua vita. Per un momento, Gaspare pensò di scrivere un’inserzione per cuori solitari, ma poi si disse che le inserzioni erano ingannevoli e che avrebbe perso del tempo inutilmente.
No, meglio un’agenzia. Certo, ci avrebbe lasciato una fetta consistente dei suoi risparmi, ma in cambio avrebbe ottenuto professionalità e competenza. Sicché, dopo l’ennesima domenica infausta, trascorsa in parte in camera a sonnecchiare, in parte fuori a gironzolare senza meta, finendo in un deserto Luna Park a sparare a flosci pupazzi e beccandone uno su cinque, il lunedì Gaspare rubò una pausa al lavoro, telefonò alla reclamizzatissima agenzia MeglioStareInDue e disse che voleva un appuntamento.
«Domani alle diciotto le va bene?» si sentì chiedere da una donna la cui voce era uno spumeggiante frullato di allegria e ottimismo.
«Facciamo alle diciannove, se può» disse Gaspare, che in genere staccava dal lavoro non prima delle diciotto e trenta.
«Vada per le diciannove. Allora l’aspettiamo per quell’ora, signor…»
«Gaspare Gargiulo.»
«Il nostro indirizzo lo sa?»
«Sicuro.»
«Bene. A domani.»

L’indomani, Gaspare lavorò meno concentrato del previsto e fece alcuni errori marchiani a cui riuscì però a mettere una pezza. Continuava a pensare che, con un po’ di fortuna, entro un paio di settimane avrebbe trovato la donna della sua vita, la donna che gli avrebbe dato la forza per fare il salto decisivo: trovarsi un tre vani tutto suo e abitarci con lei. Mammà, per il momento, poteva aspettare. E il suo paese lo ricordava sfuocato, immerso in un’insolita nebbia.
La sera, quando Gaspare uscì dal lavoro, sebbene fosse sporco e sudato, si precipitò all’agenzia MeglioStareInDue, dove ad attenderlo trovò una bella signora sulla quarantina, i capelli mesciati e gli occhi ombreggiati d’azzurro. «Signor Gargiulooo?»
Gaspare annuì.
«Io sono Laura Fasson. Sa, temevo che arrivasse in ritardo. Nel qual caso, be’, credo proprio che non avrebbe fatto parte della nostra selezionatissima clientela.»
Gaspare non trovò parole da dire tanto era esterrefatto.
«La vedo sconcertato. La capisco, sa. Ma, vede, la nostra non è un’agenzia qualsiasi. Abbiamo regole ferree e intendiamo rispettarle. Venga, si accomodi.»
Gaspare si sedette.
«Devo subito dirle che se vuole usufruire dei nostri servizi, signor Gargiulo, deve firmare l’iscrizione al nostro club almeno per un anno. Non che occorra tanto tempo per trovare la propria anima gemella. Oh no. Direi che in un paio di settimane, al massimo un mese, un bel giovanotto come lei non avrà problemi a trovare l’anima gemella. D’altra parte noi dobbiamo tutelarci, per cui chiediamo ai nostri clienti l’intera iscrizione. Sono cinquecento euro. Intende pagarli in contanti o con carta di credito?»
«Per il momento posso darle duecento euro. Il resto glielo darò la prossima volta.»
«Allora direi che non ci sono problemi. Bene, intanto può dirci che tipo di donna cerca… alta, castana, bionda, magra, con particolari interessi?»
«Be’, ecco, io cercherei una lavapiatti…»
«Prego?»
«O una cameriera.»
Laura Fasson sorrise per nascondere l’imbarazzo. Nella sua carriera ne aveva sentite di richieste bizzarre, ma questa le superava tutte.
«Non capisco.»
Gaspare spiegò asciutto che era attratto dal tipo di donne che facevano le lavapiatti, le cuoche, le inservienti.
«Ah» fece Laura Fasson capendo al volo di trovarsi di fronte a un cliente che avrebbe collocato senz’altro nella categoria «difficili», ossia quelli a cui avresti potuto presentare valanghe di donne e non ne avrebbero scelta una, neppure per passarci una serata insieme. Sospirò e chiese: «E la vorrebbe magra o non ha nessun tipo di preferenza?»
«Trenta, trentacinque anni.»
«Bene. Do subito un’occhiata al nostro database, per vedere se abbiamo qualche cliente che desidera incontrare un tipo come lei.»
Laura Fasson tuffò lo sguardo nello schermo del pc, sul quale scorsero le stringhe nere dei nomi di circa trecento clienti, di cui almeno centotrentasei donne. Alle voci «lavapiatti» e «cuoca» non apparve nulla. La Fasson represse un moto di disappunto.
«Al momento non c’è nulla. Ma noi non ci lasceremo abbattere. Anziché presentarle una persona per volta, dovrà essere un ospite fisso alle nostre feste. Ne organizziamo almeno una alla settimana, di solito il sabato sera. In genere ci sono un sacco di persone, di cui molte, moltissime donne. Forse ci vorrà un po’ più di tempo a incontrare la sua anima gemella, ma scommetto che entro un mesetto o due riuscirà a realizzare il suo sogno. Nel frattempo, domani o dopodomani al massimo, mi faccia pervenire i restanti trecento euro. Okay?»

L’invito dell’agenzia MeglioStareInDue giunse puntuale il giovedì, tramite sms: Gentile signor Gargiulo, la invito a partecipare alla festa organizzata da MeglioStareInDue, presso la sala Push&Pull, alle ore ventuno in punto.
Gaspare non amava le sale, soprattutto se piene di gente.
Scartò la pizza, accese la minuscola tv che si era comprato per riempire le serate, ma non mangiò di buon appetito. Anzi, il poco appetito gli era venuto meno, per cui piluccò qualche oliva, due piccole fette di pizza, poi buttò tutto nella spazzatura.
L’indomani Gaspare lavorò poco e male. Era turbato all’idea di trovarsi in mezzo a due-trecento persone schiamazzanti. Perché non aveva detto subito a Laura Fasson che mai e poi mai avrebbe accettato una cosa del genere? Perché non aveva detto ah, non avete da farmi conoscere una lavapiatti né una cameriera? Be’, allora mi dispiace ma non se ne fa niente. Sa, le feste le odio?
Adesso però non aveva scampo. D’accordo, poteva sempre rifiutarsi di andare, ma così avrebbe buttato cinquecento euro nel cesso, e un po’ gli seccava.
La sera, Gaspare ebbe un paio di attacchi di colite, e benché sul suo fornellino personale si fosse fatto una tisana contro l’insonnia, non riuscì a chiudere occhio.

Eccolo lì, Gaspare, solo soletto e tutto teso, davanti alla sala Push&Pull che già andava riempiendosi degli iscritti all’agenzia MeglioStareInDue. Si lanciavano tutti occhiate finto divertite che nascondevano un’ansia divorante.
Stretto nella sua giacca comprata alla Upim, ebbe la tentazione di accodarsi a due o tre persone, in modo che il suo esser solo non balzasse agli occhi in modo evidente. Non si era mai sentito così fuori posto in vita sua. Per non dare agli altri l’idea di quanto fosse grande il proprio imbarazzo, faceva finta di aspettare qualcuno, e sbuffava scocciato guardando più volte l’orologio.
Stava fermo, indeciso sul da farsi, se voltare i tacchi e andarsene, o affrontare virilmente la situazione. Vaidentro, pezzo di cretino, vaidentro non faceva che ripetersi. Quando il mantra ottenne il suo effetto, Gaspare incassò le spalle e di punto in bianco si fiondò all’ingresso. Venne però bloccato da un marcantonio col pizzetto, che gli mise un braccio grande come una pala sul petto e gli disse: «Alt, caro signore, per entrare deve pagare cinque euro».
Gaspare trovò la richiesta assurda, soprattutto considerando i cinquecento euro che aveva già versato. Avrebbe voluto protestare, ma poi si accorse che le persone intorno lo guardavano con aria di sufficienza, un sorrisetto di compatimento sulle labbra che, decodificato, voleva dire: ma guarda ‘sto mentecatto che non sa come vanno le cose, si vede proprio che è uno nuovo e per giunta piuttosto imbranato, con un cervello che se va bene è più grande di un’unghia.
Con voce rauca riuscì a dire «Ah-cinque-euro-certo-certo» e dalla tasca della giacca tirò fuori il portafogli sbertucciato.
La sala Push&Pull non aveva niente a che vedere con le moderne sale da ballo, sembrava un ex cinema a cui fossero state tolte le sedie in mezzo. Il pavimento era formato da grandi piastrelle bianche e nere, le luci non erano certo stroboscopiche né producevano particolari effetti: assolvevano dignitosamente il loro compito, che era quello di illuminare, punto e basta. Per fortuna c’era un banco bar, che a Gaspare parve subito una boa di salvataggio alla quale aggrapparsi. Ordinò un Negroni al barista, che aveva tutta l’aria di un pensionato venuto apposta per arrotondare lo stipendio. Non era male l’intruglio, e Gaspare provò proprio il desiderio di dirlo a quel tipo secco, con capelli bianchi e un’improbabile gilet indosso. Solo che, se avesse attaccato discorso, dopo avrebbe dovuto presentarsi e dirgli che era un idraulico e che non aveva nulla a che fare con quell’accolta di disgraziati presenti in sala, venuti apposta con l’illusione di conoscere l’anima gemella, anima che non avrebbero incontrato mai, per la semplice ragione che non esisteva. Lui l’aveva capito da un pezzo, a furia di visitare case su case dove, anziché respirare un’aria di comunione e lietezza, aveva quasi sempre percepito tensione, insoddisfazione, sopportazione.
«Signor Gargiulo, cosa ci fa qui tutto solo? Non vorrà mica ubriacarsi, spero. Adesso venga con me. La presento a una persona che può fare per lei.»
Un’intrepida Laura Fasson lo stava già trascinando nella sala come un sacco di patate. Quando si trovò davanti a una tipa con l’aria dello spaventapasseri, Laura Fasson si fermò, guardò la donna, poi Gaspare, e con un sorrisone disse: «Caro Gaspare, questa è Linda Gualtieri. Linda, questo è Gaspare».
Linda Gualtieri sorrise mostrando ettari di gengive, e gli porse una mano scheletrica. Gesù, che sgorbio! Aveva la fronte bitorzoluta, gli occhi piccoli, privi di espressione.
Laura Fasson girò i tacchi e portò altrove il suo bel culetto. Gaspare era parecchio imbarazzato. Non sapeva cosa cavolo dire, il che, per lui, era una cosa del tutto normale.
Linda restò a guardarlo con un sorriso che sembrava dire se lo vuoi tutte queste gengive saranno tue, poi cominciò a lamentarsi del fatto che lei era laureata da quasi tre anni, «Vuoi vedere il libretto?», e che, se fossero stati in un Paese normale, avrebbe dovuto fare l’insegnante e invece faceva la contabile presso una ditta import-export di vini, lavoro che, per la soddisfazione che dava, l’avrebbe indotta a precipitarsi nel magazzino e sottrarre svariate bottiglie di vino per ubriacarsi dalla mattina alla sera. Fortuna che lei aveva sani principi e voleva farsi una famiglia e avere dei marmocchi, oh sì tanti marmocchi, e Gaspare, mentre Linda parlava e parlava, pensò to’, questa Linda piacerebbe un sacco a mammà, anzi mammà andrebbe in visibilio per lei, le stenderebbe tappeti d’oro ai piedi e farebbe fuoco e fiamme pur di sollecitarla a vivere insieme, la casa è tanto grande, no?
E forse sarà stata anche colpa dei due Negroni bevuti, ma Gaspare già si vedeva: lui, Linda e tre marmocchi urlanti in casa, e mammà che gli diceva Gaspare vieni qui che mi devi stendere le lenzuola, e intanto, già che ci sei, spegni il fornello e portami la mia tisana.
Mentre davanti agli occhi gli scorrevano queste immagini orribili, Gaspare si guardò intorno ed eccola là Frau Einsamkeit, la zoccola, che gli faceva ciao con la mano e gli sussurrava fra un istante sono da te.
Era terrorizzato, non sapeva cosa fare, ma a un certo punto chiese a un tipo vicino a lui, un cinquantenne col codino: «Scusi sa dove sono i cessi?»
E quello gli disse: «Di là, a sinistra». E allora, senza più badare a Linda che continuava a blaterare per conto suo, Gaspare si fiondò in mezzo alla folla, più lontano che poteva da madame Solitudine, spintonò gli astanti bofonchiando mi scusi mi scusi, notò i loro sguardi di riprovazione ma se ne fregò: l’importante era raggiungere in fretta i cessi.
Quando finalmente entrò, un vago odore di cloroformio-urina-merda-acquadicolonia-deodorante e chissà cos’altro ancora gli risvegliò i nervi.
In un angolo, un tizio giovane, coi capelli biondi pieni di gel, il colletto della camicia bianca aperto, che lasciava intravedere un tatuaggio, si stava facendo un tiro di coca. Non appena vide Gaspare, gli disse: «Ehi, sarai mica invidioso, amico?»
Gaspare fece segno di no con la testa e guardò le porte dei cessi, come se temesse di trovarli tutti occupati, allora il tizio gli disse: «Ehi, non entrare lì, che quel cesso perde di brutto».
Gaspare non credeva alle sue orecchie. Allungò un braccio, dette una lieve spinta alla porta del bagno e, Gesù, che bel lago d’acqua misto a piscio!
La salvezza!
Si voltò verso il ragazzo che si era appena fatto il tiro di coca, al quale si era aggiunto un sessantenne intento a chiudersi la cerniera dei pantaloni, e con la fermezza del medico alle prese con un paziente colpito da infarto ordinò: «Presto, presto, chiamate un inserviente, qui si sta allagando tutto».
Gli bastò un’occhiata per rendersi conto che la perdita d’acqua era tutt’altro che trascurabile. Com’era possibile che nessuno del Push&Pull avesse pensato di sistemarla?
Dopo un paio di minuti arrivò il gestore del locale – gel spalmato sui pochi capelli, giacca esageratamente attillata, pelle cotta da un uso smodato di lampade, sorriso che puzzava di dentiera lontano un chilometro, chewing-gum in bocca. «Pensa di farcela a riparare il guasto?»
«Certo che sì» rispose Gaspare. «Mi lasci fare.»
«Le farò avere tutto il materiale possibile. Confido in lei.»
Il gestore sparì e, poco dopo, grazie a un paio di galoppini della Push&Pull, Gaspare si ritrovò a fianco un armamentario quasi degno della sua attrezzatura. C’era tutto, o quasi, quello che gli poteva servire. Armato di un martelletto, spaccò con soddisfazione le immacolate piastrelle damascate. Lavorava un po’ teso, aspettandosi che da un momento all’altro Laura Fasson lo prendesse per le orecchie e gli dicesse si può sapere cosa ci fa lei qui? Fili di là, il suo compito è quello di conoscere una ragazza, non di mettersi a lavorare dove non deve. Marsh!
Ma Laura Fasson non si fece vedere, o in ogni caso Gaspare non si accorse di lei, preso com’era dal lavoro. Aveva già dimenticato tutto: la titolare di MeglioStareInDue, il barista improvvisato, la ragazza il cui sorriso diceva se solo lo vorrai tutte queste gengive saranno tue, lo squinternato gestore del locale, mammà e persino madame Solitudine. Lavorava sodo, Gaspare, e quando qualche iscritto al Push&Pull entrava nel bagno, avvertiva il suo sguardo pieno di ammirazione incollarglisi alla schiena.
Ci furono momenti in cui gli sembrò persino di udire grida di incoraggiamento e qualche applauso.
Quando finì il lavoro era tardi, molto tardi. Solo in quel momento, Gaspare si rese conto dell’assenza di schiamazzi e musica. Si dette una sciacquata alla faccia, guardò i capelli spettinati e li lasciò com’erano. La sala era deserta e mentre cercava l’uscita la luce di una torcia elettrica gli illuminò la faccia.
«Lei è l’idraulico che ha riparato il guasto?»
Gaspare disse di sì.
«Mi segua. La faccio uscire, sono la guardia giurata.»

Fuori dal Push&Pull si aspettava di trovare madame Solitudine ad aspettarlo, ma di lei nessuna traccia. Forse quella stronza si è scocciata di starmi alle calcagna, si disse consultando l’orologio. Era tardi. Di autobus non ce n’erano più di sicuro, così prese un taxi. L’autista era un uomo anziano, lo caricò a bordo e non disse una parola. Nonostante fosse parecchio stanco, Gaspare era di ottimo umore. Gli piacevano le strade deserte, i bar che stavano chiudendo le saracinesche, i rari passanti. La corsa gli costò sedici euro, ma l’indomani avrebbe mandato il conto al gestore del Push&Pull e si sarebbe rifatto di almeno un centinaio di euro.
Salì a piedi verso la pensione Sogni d’Oro, cercando di fare piano per non svegliare la signora Mandelli.
Dentro casa, tutto buio. In punta di piedi, raggiunse la sua stanza, aprì piano la porta, accese la luce e poco ci mancò che gli venisse un colpo.
Sdraiata sul letto, la gonna sollevata sulle gambe rinsecchite, c’era lei, madame Solitudine.
«Gaspare, tesoro, finalmente sei arrivato. Quando ho visto che le cose andavano per le lunghe, ho preferito venire ad aspettarti qui» disse lei. «Si può sapere perché continui a sfuggirmi?»
Gaspare le fece segno di abbassare la voce. Poi farfugliò: «Be’, ecco, io… ho avuto un sacco da fare».
«Quando la smetterai di pensare di tenermi fuori dalla tua vita buttandoti nel lavoro?»
«No, io non pensavo di tenerti fuori…»
«Tu non pensavi, tu non pensavi. Non accampare scuse, con me.»
Lo guardò fisso negli occhi, poi gli si avvicinò, delicatamente lo baciò su una guancia e gli sussurrò all’orecchio: «È tanto che ti voglio, Gaspare. Io ti amo».
Allora Gaspare disse: «Puoi aspettarmi? Devo andare un attimo in bagno».
«Cos’è, pensi di sfuggirmi?»
Gaspare cercò di richiudere la porta, ma lei lo seguì, gli buttò le braccia al collo e lo baciò con passione.
In quel momento, si aprì un’altra porta nel corridoio e spuntò la signora Mandelli. Per un attimo pensò di essere vittima degli psicofarmaci che, da anni, prendeva tutte le sere e che, con l’andar del tempo, si rivelavano sempre meno efficaci. Ma poi si disse che no, quella a cui stava assistendo non era un’allucinazione. Nel corridoio, il suo inquilino, Gaspare Gargiulo, stava baciando appassionatamente un’ombra. La signora Mandelli rimase interdetta, non aprì bocca ma pensò che avrebbe dovuto capirlo dal primo istante che Gargiulo era un giovanotto davvero molto strano. E lei non voleva inquilini strani: l’indomani lo avrebbe senz’altro invitato a sloggiare.

Questo articolo è stato pubblicato in numeri, numero 21 e ha le etichette . Bookmark the link permanente. I commenti ed i trackbacks sono attualmente chiusi.