Denti guasti
Matteo De Simone

Denti guasti, romanzo in uscita per Hacca il 18 maggio, è l’incontro tra due solitudini: quella di Giulia, diciotto anni, la passione per il canto a salvarla da squallide giornate perse dietro una madre alcolizzata, e quella di Roman, diciotto anni anche lui, l’infanzia trascorsa in una terra straniera e un presente clandestino, piccoli furti in giornate senza regole. I loro mondi finiscono per incontrarsi tra le corsie di un supermercato: mentre fuori la tv continua a creare «star» e nei bar sotto casa italiani vecchi e nuovi non vogliono capirsi.
Matteo De Simone racconta il nostro presente impastato di mass media e scontri di civiltà, narrandoci un’atipica storia d’amore nata troppo in fretta e troppo in fretta svanita: sullo sfondo personaggi nudi e crudi tratteggiati con intelligenza e passione.

Di seguito presentiamo un estratto dal primo capitolo del romanzo.

***

Avevano un bel progettino su di lui.
Via Cavalli, dalle tre alle sette e mezza di sera e da mezzanotte alle quattro del mattino. Ma Silviu non l’aveva capito. Pensava che l’avrebbero portato a lavorare nei cantieri. Gli avevano raccontato così. Anche mamma non faceva che ripeterlo, con quindicimila lei già sonanti in tasca. Manco mille euro. Dopo la morte di suo padre che cosa poteva fare quella povera troia?
Tante cose, tutte diverse da questa.
E lui era contento di andare a lavorare in Italia, di imparare un paese diverso, di mandare i soldi a casa come un uomo vero. Era contento pure quando l’avevano infilato in quel capannone a Trieste, in mezzo a una trentina fra bulgari, rumeni, moldavi e ucraini. Tutti ad aspettare qualcosa con una vaga idea in testa, ognuno con la sua, ognuno attaccato al suo futuro come una mosca al ghiaccio.
Pure Roman aspettava. Ma silenziosamente. Senza farsi accorgere. Specialmente dal bulgaro. Ivan. Ci mancava che gli mettesse ancora le mani addosso. Roman sapeva che lo avrebbero tenuto lì finché non si fosse rimesso in sesto e poi. E poi anche lui in via Cavalli, una qualunque via Cavalli d’Italia a farsi chiavare da chiunque per cinquanta euro a botta.
Una notte, un po’ spettinato ma ancora in forma, gli buttano a fianco Silviu. Un ragazzino di quindici anni con la voglia di chiacchierare. Non l’hanno ancora toccato. Sembra pure pulito. Nessuno arriva pulito dopo un viaggetto con Ivan travels company. Ma Silviu ha la faccia pulita. Magari ha trovato il tempo di sciacquarsi a una fontana. Oppure è Roman che è talmente annebbiato dalla rabbia e dal dolore da non capirci più niente. Ma una cosa la sa. E cioè che al massimo in ventiquattro ore, Ivan verrà a prendere il nuovo acquisto, lo porterà nella stanzetta di qualche albergo cinese e ce lo terrà dentro una settimana. E le lezioni cominceranno da subito. E continueranno per sette o anche dieci giorni. A seconda di quanto impari in fretta. Roman è stato veloce. Dopo cinque era già fuori. E se non avesse provato a saltare su un pullman a due passi dall’albergo, adesso non avrebbe mento, zigomo, sopracciglia e costole da rimarginare e sarebbe già a lavoro.
Non dice niente di tutto questo al nuovo arrivato, che continua a fargli domande: come si chiama, quanti anni ha, da dove viene, che cosa gli è successo. Dice solo che è rotolato giù dal pullman poco prima di arrivare a Trieste e Ivan, che se n’è accorto, l’ha raccattato. È un brav’uomo Ivan, gli dice. Vedrai, ti farà cominciare presto. Ti darà anche da mangiare. Roman ha capito in fretta che Silviu non è un ragazzo a cui piace la verità. Non gliene importa niente della verità. Silviu ha bisogno di credere che le cose stanno andando come lui crede che debbano andare. E questo, ha capito subito Roman, forse può anche essere un vantaggio. Può esserlo per entrambi. Più tardi, dice Roman, quando ti caricano sul carro, tu sali tra gli ultimi e resta vicino al bordo. Perché dopo Ivan vi dà la colazione e quelli che scendono per primi mangiano di più. È un consiglio, ripete. È meglio farsi notare, spiega a Silviu, così non si scorda di te e ti tiene più in considerazione per i cantieri. Quante cazzate gli ha detto, in una notte sola.
Poi si è fatto aiutare ad alzarsi. C’era un tappeto umano intorno a loro. Una puzza fetida di sudore, merda, piscio e sangue. Facciamo che per la prima volta ti aiuto io, vengo io insieme a te, così impari. Silviu l’ha ringraziato mille volte. Continuava a ripetere che lui a Tiraspol non c’era mai stato, ma suo padre sì, tante volte. Suo padre era un camionista. E anche Vladimir, un tizio che lavorava dallo sfasciacarrozze in fondo alla strada, anche lui c’era stato. Era stato in molti posti, anche in Sicilia, dove aveva visto un vulcano in eruzione. E tutti e due comunque gli avevano parlato bene di Tiraspol. Che è dove è nato lui, Roman. Continuava a dire cose del genere. A dirla tutta, gli dava anche fastidio.
Così quella notte stessa, intorno alle cinque, quando Ivan arriva con due scagnozzi a prendersi una vagonata di nuovi acquisti, vedendo che Roman è in piedi nonostante il braccio fasciato, prende anche lui insieme agli altri. Voi due, dice a Silviu e Roman, salite davanti con me. Loro sono i più giovani. Gli altri forse andranno davvero ai cantieri. O forse no. Ma chi se ne frega. Il fatto è che adesso Silviu e Roman hanno un grosso problema. Anzi, Roman ha un problema. Silviu non ha capito niente. Forse è anche contento. Stando a quello che gli ha detto Roman, deve essere un privilegio poter stare sul sedile con Ivan. Significa che li tiene già in gran conto. Che magari li vuole aiutare. Adesso, pensa Roman, saltare giù dal carro sarà un problema. Già si vede in una stanza d’albergo. Tutti e tre. Lui, Ivan e Silviu. Anzi, non vede niente. Stringe i denti e sale sul carro. Ivan alla guida. Roman in mezzo. Il carro parte. E il cielo di Trieste è veramente basso questa mattina. Il mare sa di freddo violento. Potrebbe essere il mare di casa sua, se Tiraspol avesse il mare. Il mare di casa sua sarebbe proprio così, se ci fosse, non potrebbe essere diverso. Mamma preparerebbe il chec cu mere con il mais e la zucca e andrebbero a guardare le onde dalla strada. Non l’hanno mai fatto, ma farebbero così.
La pistola Ivan l’ha piazzata sul cruscotto. Gioca a fare lo sceriffo. Gli piace essere grasso, baffone e puzzolente come uno sceriffo del west. Ma è un cazzo di bulgaro ricchione. Appena c’è una situazione a rischio, se la nasconde tra le gambe. Poi la riporta sul cruscotto e lo fa con una lentezza esasperante. Sa che Roman e Silviu seguono il movimento con lo sguardo. Allora hai visto che non era niente, Roman? Ti sei già ripreso, cammini che è una meraviglia. È importante avere buone gambe. Nella vita sono le gambe quelle che ti salvano. Se non hai buone gambe non vai da nessuna parte. Per tutti è così. Roman non risponde e Ivan per fortuna non deve avere troppa voglia di continuare la conversazione.
Silviu è ipnotizzato. Non ha paura, è solo abbagliato dalla vista di una pistola così vicina. Il carro procede lento. Ivan fuma una sigaretta dopo l’altra. Ogni tanto allunga la mano per far tirare anche Roman, ma lui non lo vede neanche. E tu? Intende Silviu. Silviu ne vuole. Tira e aspira senza tossire e questa cosa stupisce Roman.
Alla velocità a cui stanno andando sarebbe stato facilissimo saltare giù. Nessuno degli altri avrebbe dato l’allarme. Al massimo si sarebbero sbucciati le ginocchia. E sarebbero stati liberi. Liberi clandestini in libera Italia. Ma così è davvero un casino. Roman capisce di aver sbagliato tutto. Avrebbe dovuto dire a Silviu la verità. Avrebbe avuto un complice. In questo modo ci manca poco che il complice ce l’abbia Ivan. Quello che servirebbe adesso sarebbe un colpo di mano di Silviu. In senso letterale. Silviu dovrebbe tirare la maniglia e lanciarsi dal carro. In quel preciso momento, Roman impugnerebbe la pistola. Non ci sarebbe bisogno di convincere Ivan a rallentare, lo farebbe da sé. A veicolo fermo, Roman piazzerebbe una pallottola in un punto qualunque della faccia grassa di Ivan e poi via dal carro anche lui. A quel punto consiglierebbe a tutti gli uomini di volatilizzarsi e di cominciare una paciosa vita da clandestini. Gli spiegherebbe che non vedranno mai i soldi che gli hanno promesso, che andranno a lavorare per un euro al giorno, rischiando di crepare sul cantiere e di essere sepolti nel cemento. Tanto non esistono. Nessuno sa dove sono. E se non crepano oggi creperanno domani e se non crepano domani lo faranno dopodomani. Perché a parte sputare il sangue nel calcestruzzo, loro non servono a niente. Non riusciranno a mantenere le loro famiglie e non potranno nemmeno pagare il debito a Ivan. Roman lo sa. Lo ha sentito dire, ha sentito della gente parlare, ucraini, nella settimana che ha passato in hotel legato al letto. Li ha sentiti parlare nella stanza accanto. Ha capito in fretta come marciano le cose. Su tutti loro c’è una X grande come una casa. C’è anche sulla testa di Silviu e di Roman. Ma adesso Roman quella X la vuole cancellare. Lo ha deciso questa notte quando gli hanno sbattuto Silviu contro la spalla. E adesso, nonostante Silviu, in un modo o nell’altro si toglierà da questo impaccio.

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