Giuda
di Ilaria Vajngerl

Chiara una volta mi ha regalato un cane di peluche e delle foto di noi due a forma di cuore. Non sapevo cosa dire, è un regalo che fanno le ragazze degli altri, credevo che a me non sarebbe mai capitato, perché Chiara è una che rutta, le smancerie le fanno schifo. Mi aspettavo una fotocamera nuova, di quelle piccole che puoi fissare sopra il casco.
Le ho detto grazie, ma mi veniva da prenderla a schiaffi.
Per cena aveva preparato il purè e lo spezzatino. L’ho mangiato senza farle i complimenti, se li meritava poveretta, non cucina mai così bene. Le dico che quasi quasi possiamo andare dai miei genitori, lei mi risponde che è d’accordo, ma che prima devo stendere il bucato. Ha ragione, dovrei farlo io. Ma almeno per il mio compleanno poteva sforzarsi e farlo lei.
Vado in lavanderia e davanti alla lavatrice c’è un pacco che abbaia. Capisco tutto e la perdono. Scarto la scatola in fretta e furia, esce un cane col pelo nero che inizia a leccarmi la faccia. Abbraccio Chiara, che è riuscita a regalarmi quello che volevo più della fotocamera, ma che non avevo il coraggio di comprare.

Fritz sa fare tante cose. Tipo, la mattina viene a chiamarmi tre minuti esatti prima del suono della sveglia, sale sul letto, mi annusa le orecchie, poi mordicchia la frangia di Chiara. Sa riconoscere il rumore del motore delle nostre auto e quando torniamo dal lavoro ci aspetta composto davanti alla porta, se ha distrutto la stanza fa finta di niente e rimane accucciato a scodinzolare. Chiara è più brava di me a sgridarlo, segue un corso on-line per diventare una padrona come si deve. Dice che Fritz ha bisogno di ricevere ordini precisi, altrimenti va in confusione e non ascolta nessuno. Quando la fa in casa lo picchia col giornale, così per cena gli do una dose doppia di croccantini e allora io e Chiara litighiamo. Da quando abbiamo un cane siamo diventati una vera famiglia.

Ogni pomeriggio verso le sei Chiara cerca di insegnare a Fritz come dare la zampa. Mette uno straccio per terra, stringe un pezzetto di wurstel nel pugno e comincia a camminare per la stanza. Quando passa sopra lo straccio ordina a Fritz di sedersi. Lui si siede, poi si stende e invece di alzare la zampa si rotola sul pavimento e non l’ascolta più. Fritz sta bene quando corre sui prati, non è mica un cane da salotto. Quando vado a fare jogging lo porto fuori e lui è felice, si vede. Mi trascina avanti e devo stare attento a non essere investito. Superiamo un signore che fuma la pipa, una mamma col passeggino, una coppia di fidanzati biondi che corrono vicini, parlando ciascuno al proprio cellulare. Siamo più veloci di tutti, ci fermiamo soltanto quando arriviamo alla fontana dietro la ferramenta. Prendiamo il respiro, io mi lavo la faccia, Fritz beve e annusa la pista ciclabile. Ogni tanto il ferramenta viene a salutarci – era compagno di mio padre, un brav’uomo – porta un biscotto a Fritz e mi chiede come vada il lavoro.

Il lavoro è lavoro. Ho trentaquattro anni e vorrei già andare in pensione, però con la crisi non mi posso lamentare. Ogni tanto mi stendo sul divano, mi tolgo i calzini e mi sfogo con Fritz finché lui mi lecca i piedi. Gli parlo ad alta voce e sento che è terapeutico, ci facciamo compagnia.
Chiara invece va dalla psicologa una volta al mese, contenta lei. Compie ventinove anni il 17 settembre, si sente vecchia. La sera del suo compleanno le ho regalato la fotocamera che volevo io e l’ho portata fuori a mangiare lo stinco. Mi è parsa felice. Siamo andati in centro e si è fissata la macchinetta sulla borsa, abbiamo guardato i vestiti dentro le vetrine spente e poi siamo tornati a casa, abbiamo inserito la modalità filmato, abbiamo fatto l’amore e ci siamo riguardati.
Fritz nel frattempo aveva distrutto due rotoli di carta igienica, c’erano coriandoli bianchi sparsi in tutto il bagno. Fa sempre casino quando non ci giochiamo abbastanza insieme. Se tardiamo per una riunione si arrampica sui mobili facendo cadere tutti gli oggetti. Chiara dice che è troppo viziato, io dico che è solo un cane.

Di fatto abbiamo deciso di spiarlo.
Chiara ha montato la fotocamera sulla maniglia della finestra, così da inquadrare bene la sala, con le poltrone, e tutto il resto. Devo dire la verità, non mi aspettavo davvero che le potessero interessare i filmati. È un bel problema, perché la sua fotocamera volevo usarla io. E invece Chiara ha passato mezza giornata a leggere il libretto delle istruzioni. Quando l’ho conosciuta pensavo fosse solo intelligente, non perfezionista. I perfezionisti mi stressano. E in effetti quando fa la maniaca non mi sento troppo bene, mi sembra di essere sciatto, non dico fisicamente, ma spiritualmente. Anche adesso sta facendo le prove per essere sicura che domani mattina, quando saremo al lavoro, la fotocamera registrerà senza intoppi, non è mica normale.

Quando rientro c’è la pallina di Fritz sopra il tavolo, un cuscino sul pavimento e un vaso rovesciato sopra la dispensa. Fritz mi fa le feste come non ci vedessimo da Natale, sei un farabutto, gli dico. Riordino tutto prima che Chiara torni dall’ufficio, c’era la carta di un assorbente vicino al water, sicuro che sarà nervosa.
E infatti.
Quando arriva ha gli occhi fondi e la pelle bianca, mangia un panino aspettando il risotto e poi butta una pastiglia in un bicchiere. Fritz è allegro, abbaia quando tiro fuori il grana, gli do la crosta così si quieta. Chiara intanto stacca la fotocamera dalla finestra e riguarda il filmato impostando le immagini a scorrimento rapido.

Oh, dice a un certo punto, vieni a vedere.

Alle 14.30 Fritz apre la porta di casa e fa entrare un uomo. Un signore tarchiato, con pochi capelli, che dopo essersi seduto sul nostro divano estrae dalla tasca un biscottino a forma di fiore. Il nostro cane gli dà subito la zampa e gli lecca la mano, l’uomo allora lo premia col biscotto, massaggiandogli il collo.
Chiara sbatte il pugno sul tavolo.
Fritz gli porta la palla, il pelato gliela tira in cucina: urtano un paio di soprammobili, gli stessi che pensavo Fritz avesse fatto cadere da solo, per riempire la mia assenza. Invece i due passano dieci minuti a giocare senza smettere. Il mio cane scodinzola così soltanto la domenica, quando gli diamo la pelle avanzata del pollo arrosto: si divertono tantissimo, a quanto pare.
Quando si sono stancati a dovere il signore si toglie le scarpe, indossa le mie pantofole e si siede sulla mia poltrona; la fotocamera allora riprende l’uomo da vicino e finalmente lo riconosco.
Fritz e il ferramenta dormono insieme fino alle 15.19. Poi suona la sveglia, lui si sistema il maglione guardandosi nello specchio che fa tutti più magri e così com’è venuto se ne va.

Non dormiamo per tutta la notte. Chiara continua a girarsi e a me è venuto il mal di testa. Questa cosa non ha senso. Mi ricordo quando mia sorella ha scoperto che il suo fidanzato se la faceva con la cassiera della Coop, quella coi capelli rossi che assomigliava a Scarlett Johansson. Continuava a ripetere che non era possibile, che era tutto perfetto. Io le dicevo che doveva sbagliarsi per forza, sicuramente aveva trascurato dei segnali, perché un infedele non può riuscire a mantenere le stesse abitudini, lo stesso odore, le stesse premure che aveva prima di cominciare a tradire.
E invece.
Fritz viene a svegliarci tutte le mattine allo stesso modo, cerca le carezze con il naso, fiutandoci le mani. Vorrei perdonalo e dimenticarmi al più presto di questa storia. Solo che il ferramenta arriva ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì sempre alla stessa ora con un cazzo di biscotto a forma di margherita. Guardiamo le registrazioni di nascosto, prima di dormire, per un mese buono. Dovresti essere il nostro migliore amico, dico a Fritz un giorno, lui fa finta di non capire.

Con la scusa di andare a farmi una copia della chiave del garage, decido di affrontare l’intruso. Giro tra gli scaffali aspettando che un ragazzo paghi due barattoli di vernice bianca e finalmente ci lasci soli. Il ferramenta mi saluta allegro, ha la stessa camicia a righe che avevo visto la settimana scorsa dentro la fotocamera di Chiara.
So di lei e Fritz, gli dico. La dovete piantare. Mi traballa la voce, è la prima volta che minaccio qualcuno.
Il ferramenta si passa la mano dietro la nuca e arrossisce. Ha la faccia gentile.
Mi dispiace, mi risponde. Sono molto affezionato al tuo cane, davvero. È iniziata per caso, sono vedovo. Quando ho capito che anche Fritz se ne stava tutto il giorno ad aspettarvi ho cominciato a fargli visita. In fondo non vi ho mai rubato niente.

È vero, non è mica un ladro. E quando hanno investito sua moglie era un uomo distrutto, me lo ricordo il funerale, il ferramenta camminava piegato in avanti, come se qualcuno gli premesse lo stomaco, ad ogni passo rimpiccioliva abbassando la testa sempre di più, verso la bara.
Raggiungiamo un accordo: può venire a casa nostra il martedì e il giovedì pomeriggio e se vuole può prendere il guinzaglio e portare Fritz a fare un giro al parco. Ci stringiamo la mano e per togliermi i sensi di colpa compro della carta abrasiva e un martello, anche se ce li ho già; il ferramenta sorridendo mi fa il cinquanta per cento di sconto e così la nostra alleanza è definitivamente sigillata.

Voglio festeggiare. Vado dal macellaio prendo due salsicce, le cucino, le spezzetto e le metto nella ciotola di Fritz, che le divora in un minuto e comincia a grattarmi i polpacci per averne ancora.
Forse l’abbiamo trascurato, dico a Chiara.
Allora prenditi un part time, mi risponde.
È ancora offesa. Dice che Fritz ci ha fatto cornuti, non vuole più farlo salire sul letto quando c’è il temporale, è proprio un peccato. Secondo me è gelosa per la questione della zampa, dalla anche a lei, ho detto a Fritz, ma lui niente, è testardo come la sua padrona.
Il ferramenta invece è proprio un brav’uomo. Viene solo nei giorni stabiliti e se vede che in casa c’è qualcosa da riparare ce l’aggiusta senza chiederci niente in cambio. È diventato quasi un parente, solo molto più discreto. Mi piacerebbe invitarlo a cena, ma non so come dirlo a Chiara, potrebbe fare la maleducata e non se lo merita.
Lascio passare un mese, ci riabituiamo ad amare Fritz imparando di nuovo a fidarci di lui, togliamo la fotocamera, la lasciamo su una mensola a prendere la polvere.
Poi, un mercoledì, torno prima dal lavoro per andare dal dentista e in casa non c’è nessuno.

Comincio a girare per le stanze, che sanno un odore vuoto di mobili Ikea. Non c’è il guinzaglio, iniziano a puzzarmi le ascelle, mi siedo sul divano, poi mi cambio la camicia, tolgo i piatti puliti dalla lavastoviglie, accendo la televisione e aspetto.

Fritz torna alle sei meno dieci con la lingua a penzoloni e le zampe umide. Per farsi aprire gratta la porta, entra tenendo la coda fra le gambe, voltando la testa dall’altra parte per non incrociare i miei occhi.
Con chi sei stato? gli chiedo.
Lui fila nella cuccia e non si muove. Gli levo il guinzaglio. Dalla finestra vedo allontanarsi la coppia che incontravamo quando andavamo a correre questa primavera, i due coglioni biondi che parlavano al cellulare nonostante il fiatone.
Sono loro? chiedo.
PROPRIO LORO? Urlo a Fritz.
Lui scappa sotto il tavolo.
Telefono a Chiara e al ferramenta. L’ha fatto di nuovo, dico.
Ci troviamo in un bar vicino al duomo per decidere il da farsi. Il ferramenta fa un sorriso continuando a rigirarsi le mani, dice che gli dispiace, ma si è comprato un gatto persiano, a questo punto si dedicherà soltanto a lui. Lo capisco. Chiara gioca con un elastico, il suo viso sembra franato verso il basso.
Portiamolo in canile, dice. Io un Giuda in casa non lo voglio.
Il ferramenta alza le spalle, prende il portafoglio e paga per tutti.

Abbiamo caricato Fritz in macchina perché lui non ci voleva salire. Ci guardava con gli occhi bagnati, tremando. È stata Chiara a prenderlo in braccio, l’ha messo nel bagagliaio e l’ha chiuso sbattendolo forte, troppo tardi, gli ha detto.

Nel canile c’è la sezione cani aggressivi, quella per i cani abbandonati, delle stanze riscaldate per i cuccioli, dei letti sfondati per i cani malati: i cani infedeli non sanno dove metterli, è la prima volta che ne vedono uno. Il custode ci accompagna attraverso le gabbie trascinando una gamba che non si piega bene, per un attimo ho l’impressione che Fritz gli faccia l’occhiolino, quand’è convinto che nessuno lo stia guardando. I guaiti e la puzza di piscio intasano il corridoio. Arriviamo a una gabbia senza luce, da qui non potrà scappare, dice il custode.
Fritz ci entra, ha lo stesso colore del buio.

Questo articolo è stato pubblicato in numeri, numero 21 e ha le etichette . Bookmark the link permanente. I commenti ed i trackbacks sono attualmente chiusi.