Il tempo materiale

Il tempo materiale

Autore: Giorgio Vasta
Casa editrice: Minimum Fax
Pagine: 311

Nimbo, Volo e Raggio hanno undici anni ma non hanno età. Si muovono tra le rovine di una città apocalittica, armati di logica e imbevuti della vuota e macchinosa retorica del terrorismo rosso, perseguendo il loro personale disegno sovversivo. Sono emarginati e destinati alla violenza, che passo dopo passo si perfeziona, diventa fine e sembra non lasciare speranza. Ma quando questa cappa di brutalità sembra essere diventata opprimente e insostenibile, la speranza ha il volto di una bambina creola, ed è innocenza, tenerezza, seppur amara. Bisogna essere terribilmente feroci per affermare il primato della dolcezza.
Siamo a Palermo, ma potremmo benissimo essere nella Sarajevo squarciata dalla guerra. È il 1978, ma qui siamo nel medioevo della civiltà, nell’età rinascimentale della violenza, nel suo massimo splendore. E a colpire subito è questa apparente intercambiabilità toponomastica e cronologica, dove tutto è riscontrabile attraverso la minuziosa enumeracion di strade, luoghi di una Palermo ferina e brutale, e i riferimenti pop a un’italietta da farsa, di Lino Toffolo, di Corrado e di Rita Pavone, che irrompono più reali della realtà dal televisore: una commedia dell’arte che conduce alla decadenza e alla putrefazione. Il feto di Moro nasce già morto dall’utero metallico di un bagagliaio, fecondato dal germe di una ideologia che si propaga a macchia d’olio, raggiungendo l’estrema periferia del Paese. Qui Nimbo, Volo e Raggio iniziano la loro personale crociata, la loro attività terroristica. Si fanno parola negando la figuratività, mossi da Eros e Thanatos, presenze a tratti impalpabili, a volte ingombranti, che li accompagnano come ombre. Quello che sembra essere un “gioco da grandi” diventa una tremenda discesa verso la distruzione. Il male è perpetrato da bambini, che l’iconografia più comune vuole quasi sempre rappresentati come vittime o al massimo come strumenti inconsapevoli. Non è una violenza sensazionalistica quella di Vasta. È studiata, fredda e aritmetica proprio come la sua prosa, e l’architettura del romanzo è adeguatamente speculare alle ossessioni che muovono i personaggi. Attraverso questo personale “realismo fantastico” Vasta scrive un romanzo di formazione, di educazione sentimentale e di diseducazione politica, dove i personaggi sono simboli e la realtà è segno che allude a qualcos’altro, dove la fiction si mescola alla saggistica. Una finzione narrativa che è più efficace di un trattato di semiotica, che scandaglia i rapporti tra significato e significante, tra parola e azione. Un romanzo che è anche meta-letterario, di una letteratura che è quella delle Brigate Rosse, fatta di comunicati così enfatici da sembrare ridicoli, se ad essi non fossero seguiti i morti.
Vasta non cerca l’identificazione psicologica, non vuole sacrificare la scrittura a quella che la neoavanguardia chiamava “la peste della letteratura italiana”, troppo impegnata a farti amare i personaggi, a condividerli, a cercare l’occhiolino complice del lettore come il Doinel di Truffaut che guarda in macchina. Sembra seguire un suo personale e ambizioso progetto, antiestetico e puro come la lotta dei suoi personaggi; come loro sembra ribellarsi alla semplicistica stigmatizzazione nazionalpopolare italiana, rivendicando il primato della letteratura, delle parole e del loro senso. Questa profonda consapevolezza rappresenta anche il grande limite dell’opera. Vasta soppesa ogni parola, utilizza con disinvoltura periodi lunghi e monoproposizionali, tecniche narrative di stampo realista e onirico. Ma a tratti la sua prosa perfetta sembra onanistica, così autocompiaciuta da non poter fare a meno di pensare quanto largo fosse il suo sorriso mentre la perfezionava, la ultimava. I personaggi spesso sembrano subalterni al progetto, sembrano appartenere al mondo delle idee e fatta eccezione per Nimbo non hanno spessore umano, solo letterario. Questo non si può necessariamente considerare un male, anzi rappresenta (pur nella sua estremizzazione) un’alternativa decisamente interessante a quella che sembra essere la strada intrapresa dalla grande maggioranza degli scrittori italiani. Ma presumibilmente contribuirà a non renderlo un libro di grande attrattiva per le classifiche editoriali. Non può piacere a tutti, sicuramente non piacerà a tutti. Questo, però, è un romanzo di rara bellezza.
Lorenzo Gramatica
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