Il nemico

Il nemico

Autore: Emanuele Tonon
Casa editrice: Isbn
Pagine: 102

Immaginiamo il lettore entrare in libreria e fermarsi di fronte allo scaffale di narrativa italiana. Tra i tanti volumi, potrebbe concentrarsi sul banchetto delle nuove uscite. Qui la sua attenzione potrebbe essere conquistata da Il nemico di Emanuele Tonon, il consueto fascino minimalista delle edizioni Isbn, la copertina bianca senza illustrazioni, il profilo delle pagine bordato di rosso. Il libro è già nelle sue mani. In copertina, sotto autore e titolo, la dicitura «ROMANZO ERETICO». Con la sensazione di addentrarsi in qualcosa di proibito eccolo a leggere la prima pagina, dopo aver cercato invano la quarta di copertina (e se il nostro aspirante acquirente non è abituato ai libri Isbn, eccolo già steso). «Il nemico è il blasfemo, feroce atto d’accusa di un uomo contro Dio. Uno spaccato struggente… Tonon trasforma la scrittura in un rituale esoterico per sopportare l’insopportabile ingiustizia dell’esistere, tutto concorre a fare di questo libro una stupenda, potente, macabra eresia.» Non stiamo parlando del solito romanzetto ad ambientazione familiare, dello scrittore da conventicole letterarie con cattedra allo IULM e parente proprietario di una casa editrice, ma di un (come presentato nella prima di copertina) «teologo operaio» prestato alla narrativa. A questo punto il lettore, o quantomeno il lettore che abbiamo in mente, sarà già alla cassa pieno di aspettative. Che, dico per evitarvi sorprese, non saranno soddisfatte.
Il nemico potrebbe essere definito un romanzo breve o un racconto lungo (supera di poco le cento pagine), ma nessuna delle due definizioni risulta essere davvero calzante. Siamo in Friuli, nella provincia del laborioso Nordest italiano. Ma di paesaggi carsici qui nemmeno l’ombra, la geografia si articola e riduce a casa-fabbrica-bar, bar-fabbrica-casa e altre variazioni sul tema di questi tre elementi. La voce narrante è quella di un prete che ha smarrito fede, speranza e tonaca, distrutto dalla lenta agonia del padre (consumato e ucciso dal lavoro in fabbrica) e dal dolore provocato dalla maternità interrotta della sua compagna, con cui condivide una dolorosa quotidianità fatta di piccoli e disperati gesti. Ma vera protagonista è l’assenza, che pervade le pagine in forme diverse, quella del padre, quella del figlio mai nato, quella di Dio. Un’elaborazione del dolore ora rabbiosa, ora rassegnata che porta all’alienazione dell’individuo e alla negazione dell’affettività.
La struttura narrativa si fonda su una divisione in due parti: la prima incentrata sul padre, la seconda sulla compagna (la «sposa muta»). Ma tra le due, nulla cambia. Il monologo rabbioso e delirante del protagonista si ripete instancabile dall’inizio alla fine, alternando le espressioni «cazzo, fica, troie di infermiere, venirle in bocca» a pretenziose quanto ingenue dissertazioni di carattere teologico. Lo stile di Tonon, presentato come «uno spietato alternarsi di letterarietà e trivio, di preghiera e bestemmia» è più che altro una semplicistica giustapposizione di questi elementi. La faticosa ricerca di Dio coincide con quella della felicità, la mancanza di Dio alberga nelle ingiustizie della quotidianità, sembra dirci tra le altre Tonon. Ma ci volevano cento di queste pagine?
Sebbene il romanzo sia ambizioso, per costruzione e obiettivi, riesce difficile dargli il peso che forse l’autore voleva conferirgli. La storia è troppo esile e le dissertazioni di carattere teologico ora fanno sorridere, ora irritano.
Lorenzo Gramatica
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