Libero Anselmi
di Leonardo Rasulo

Nonostante avesse raggiunto i quaranta, Libero Anselmi non la smetteva di ammazzarsi di seghe.
La cosa non lo turbava più di tanto – era certo che orde di quarantenni come lui si dedicassero con abnegazione alla pratica masturbatoria –, ma iniziò a chiedersi se la frequenza con cui metteva mano alla patta non avesse del patologico.
Quando era un adolescente con i brufoli che sprizzavano ormoni, si era convinto che una volta raggiunta l’età della ragione simili pratiche non sarebbero più state non solo necessarie, ma tantomeno desiderate. E ora che, a quarant’anni suonati, con una moglie e due splendidi bambini, continuava a masturbarsi, ma con maggiore intensità di prima e oltretutto senza alcun senso di imbarazzo post orgasmico, si domandava se non fosse il caso di cercare un rimedio all’insanabile appetito.
«Ti masturbi ancora?» si ritrovò a chiedere a bruciapelo, tra il serio e il divertito, a un suo caro amico.
«Perché tu no?»
«Certo. Certo; mi chiedevo, quanto?»
«Cosa?»
«Quante te ne fai?»
«Non saprei. Un paio? Sì direi un paio.»
«Al giorno?»
«Che razza di domande.»
«Avanti è importante.»
«A settimana ok? Due a settimana. Perché tu?»
«Io sette.»
«Sette cosa?»
«Mi faccio sette seghe.»
«A settimana?»
«Io mi faccio sette seghe al giorno.»
«Oh, per favore.»
«Giuro.»
«Mi stai dicendo? Cristo Santo! Macchecazzo, tu sei malato!»
«Credo di avere un problema.»
«Credi? Tu credi? Amico fatti vedere. Tua moglie lo sa?»
Greta.
Libero Anselmi era certo che sua moglie sapesse che si masturbava. Ogni moglie lo sa. Ma era anche certo che non avesse la minima idea di quanto, si masturbava.
Non che si sentisse in colpa, nei suoi confronti. Se con gli anni la loro vita sessuale aveva subito un calo fisiologico, Libero Anselmi provava ancora attrazione per lei, e lo dimostrava ogni volta che ce ne fosse occasione. Ammazzarsi di seghe non inficiava in alcun modo il fascino che Greta suscitava in lui. A volte lui stesso stentava a crederci, e si ritrovava a pensarci con un certo orgoglio.
Negli anni le sue sessioni masturbatorie anziché diminuire come si era auspicato da adolescente, erano andate aumentando, fino a stabilizzarsi su di un picco massimo di sette, organizzate in una routine quotidiana con tutte le altre attività. Sveglia alle sette. Sega in doccia. Colazione. Arrivo in ufficio alle otto e quarantacinque. Lavoro. Sega a metà mattina nel bagno dell’ufficio. Pranzo. Lavoro. Sega a metà pomeriggio sempre nel bagno dell’ufficio. Rientro a casa. Sega nello studio. Cena. Sega nel bagno di servizio. Mettere a letto i bambini. Coricarsi. Sega nel bagno della camera da letto. Risveglio in piena notte. Sega nello studio. Dormire.
La routine masturbatoria subiva variazioni nelle rare occasioni di amplesso con Greta, o per impegni lavorativi, o durante le vacanze estive, dove nonostante aumentasse il tempo libero, diminuivano le opportunità di privacy.
A far sì che i suoi neuroni pompassero eccitazione nel basso ventre bastava poco. Un tacco dodici della collega, il volto di una donna incontrata in un bar, o alle poste, o dovunque, due gambe accavallate in una minigonna ma anche due polpacci in una longuette, seni prominenti e timidi, decolleté azzardati o solo accennati, un profumo. Scene di sesso dei film, pubblicità ammiccanti, televendite di costumi, attrezzi ginnici ed elettrostimolatori per cellulite. Riviste di gossip, di moda e in mancanza di altro catalogo di Postalmarket. Per non aprire il capitolo internet.
A volte si chiedeva se fosse il mondo che lo circondava a essere immanente di sesso, o fosse lui a vedere il mondo sempre in guepiere e reggicalze.

Accadde che in uno dei tanti accessi di onanismo che costellavano la sua giornata, nello specifico quello di metà pomeriggio nel bagno dell’ufficio, a Libero Anselmi, inaspettatamente, il pene, si staccò. Non che ci avesse messo particolare foga, per arrivare a un tale risultato. O perlomeno non più del solito. Eppure, gli restò in mano. Non c’era sangue, né segni di lacerazione. Era come se Libero Anselmi, il pene, non l’avesse mai avuto. Lo teneva sul palmo, cristallizzato ed eretto, e lo osservava con biasimo. Come era potuto accadere? Forse aveva tirato troppo forte? L’aveva fatto tante volte!
E ora? Ora come doveva fare? Questa è una punizione! Una punizione divina!, si ripeteva, mentre usciva con circospezione dal bagno dell’ufficio, con il pene che occhieggiava da una tasca.
Tramortito dall’evento, se ne andò accusando un malessere davanti ai colleghi che, vedendogli il pallore sulla faccia, non stentavano a credere. Arrivato a casa, si barricò nello studio, estrasse il membro dalla tasca e lo posò sulla scrivania. Lo fissò qualche istante, poi con impeto si abbassò i pantaloni, lo afferrò, e cercò in qualche modo di riattaccarlo. Si potrebbe dire che tentasse di riavvitarlo. Una, due, tre volte. Niente. Stremato, si accasciò sulla sedia, e si decise a chiamare un medico.
«Mi sta dicendo?» Il Dottor Sinimbaldi, andrologo, urologo, sessuologo e insomma specialista di tutta la medicina che ci sta tra l’ombelico e le ginocchia di un uomo – o quantomeno così recitava il sito internet su cui Libero Anselmi l’aveva trovato – lo guardava dietro occhiali tondi in osso.
«Proprio così.»
«E come;»
«Be’ vede io; io stavo;»
«Sì?»
«Ecco io mi stavo; lo tenevo; lo tenevo in mano e poi; poi a un certo punto è;»
«Non si scoraggi.»
«Si è;»
«Staccato?»
«Proprio così.»
«Diamo un’occhiata.»
Dopo attenta analisi e parecchie ore di elucubrazioni, la diagnosi era chiara.
«È caduto.»
«Che significa è caduto?»
«Quello che ho detto. Come le foglie, come i capelli. È invecchiato prima e alla fine s’è staccato.»
«Mah. Non è possibile.»
«Oh, certo che lo è. E lei ne è la prova. Ha fatto il suo ciclo vitale. Colpa dei radicali liberi. Ha presente i radicali liberi? Dica, l’ha usato parecchio vero?»
«Be’ io;»
«Fosse stato più accorto. Ma non stiamo qui a recriminare. Chissà come si è divertito! Chissà quante donne!»
«E ora? Mi aiuti la prego.»
«Oh, be’. Ora le opzioni sono due. La prima è che si mette il cuore in pace, e questo» agitò il pene ancora fiero nella mano guantata di lattice «lo mette in una bella teca, come ricordo dei bei tempi andati. Oppure;»
«Oppure?»
«Oppure lo sostituiamo.»
«Come prego?»
«Ho detto lo sostituiamo. Non ne vorrebbe, uno di ricambio? Suvvia, uno stallone come lei?» il medico gli diede di gomito e strizzò l’occhio, ma Libero Anselmi non era in vena di spacconate tra uomini.
«E con cosa, lo sostituiamo?»
«Be’ mi sembra ovvio.»
«E da dove arriva, il ricambio
«Diciamo che arriva da un’officina di macchine che non funzionano più.»
«Macchine; usate?»
«Diciamo chilometro zero.»
Libero Anselmi uscì dallo studio del medico tra il disperato e l’indispettito. D’un tratto si ritrovava senza sesso, e se lo rivoleva indietro da lì in avanti si sarebbe trovato a masturbare il pene di chissà chi. Aveva forse altra scelta? Di certo, non poteva permettersi di restare senza. Cosa avrebbe detto a Greta? Come si sarebbe giustificato? Amore, ho perso l’uccello perché mi sono fatto troppe pippe. E soprattutto, come avrebbe fatto a pisciare?
Le acute riflessioni lo portarono ad accettare la proposta del Dottor Sinimbaldi il giorno seguente.
Firmò dove c’era da firmare – certi documenti in cui declinava da ogni responsabilità il dottore e tutta l’equipe medica, nonostante ci fosse una garanzia di un anno sul nuovo membro, salvo danneggiamenti volontari quali incendio, schiacciamenti, e fratture –, pagò quanto doveva pagare – uno sproposito, ma tant’è; di certo quel genere di operazione non era mutuabile – e la settimana seguente si presentò per l’intervento. Anestesia locale, day hospital, ed entro le sedici uscì dalla clinica con un cazzo nuovo fiammante.
Il Dottor Sinimbaldi consigliò a Libero Anselmi di maneggiare con cura l’arnese nuovo per i primi quindici giorni, e di limitarsi alla funzionale minzione quotidiana. Disse proprio così.
Trascorsa la tortura del periodo d’astinenza, Libero Anselmi, eccitato e preoccupato allo stesso tempo, si preparò a inaugurare la prima sega. Prese un pomeriggio di ferie. Greta era al lavoro, e i bambini a scuola. Si accomodò sul divano del salotto, nudo. Fazzolettini Tempo alla sua sinistra e olio Durex sulla destra. Era pronto. Decise che, per quell’evento, avrebbe lavorato di fantasia. Niente internet o film. Solo lui, il suo archivio di ricordi e il suo catalogo di desideri. Sentiva il nuovo membro issarsi e stagliarsi nel magma di immagini che bombardavano il cervello. Libero Anselmi afferrò il colosso e la sua mano esperta iniziò a lucidarlo d’olio. Niente. Trascorsero quarantacinque minuti. Quarantacinque minuti in cui aveva passato in rassegna tutte le donne con cui era stato a letto e tutte le donne con cui avrebbe voluto. Dalla prima fidanzatina a quella dell’estate ‘95, dagli amplessi universitari a quelli adulti, da sua moglie alle amiche di sua moglie, alle madri di figli altrui che aspettavano fuori dalla scuola, dalle colleghe a tutto l’ufficio, dalla farmacista alla cassiera del supermercato, dalle conoscenti alle sconosciute, tutte in ordine non cronologico. Dalle attrici italiane a quelle americane. Libero Anselmi sudava e si agitava nel divano senza ottenere alcun effetto. Strizzò dal suo cervello le ultime gocce di immaginazione, poi, disperato, accese la tv. Trascorse un’altra mezz’ora davanti a televendite e presentatrici pomeridiane, prima di arrendersi definitivamente all’evidenza: il suo pene nuovo era difettoso.
«Come non funziona?» il Dottor Sinimbaldi era irritato e perplesso.
«Un’ora e mezza, ieri. Un’ora e mezza e;»
«E?»
«Niente. Non è successo niente.»
«Niente di niente?»
«Veramente. Ecco. Sì insomma, lui si è anche, alzato. Era anche, bello; voglio dire; mai vista una roba così. Però;»
«Però?»
«Non sono; lui non ha; come dire. Non mi ha;»
«L’orgasmo.»
«Ecco.»
«Lei non ha raggiunto l’orgasmo.»
«Esatto. Non sentivo nulla, nel mentre.»
«Mmmh. Diamo un’occhiata.»
Dopo averlo visitato, il Dottor Sinimbaldi pareva ancora più perplesso.
«Mi scusi un attimo.»
Lasciò la stanza per qualche minuto. Libero Anselmi lo sentì discutere con qualcuno nella camera attigua. Poi dei bisbigli e infine silenzio. Quando rientrò, prese posto alla scrivania e iniziò a pigiare i tasti del computer.
«Si sieda, per favore.»
Libero Anselmi attese paziente, finché il dottore sbuffò, levandosi gli occhiali.
«Normalmente è una procedura che non facciamo. Capisce, per questioni di privacy. Nel suo caso; faremo un’eccezione; lei. Voglio dire, il suo; sì insomma è ancora in garanzia. Dalla visita non è emerso nulla. Pertanto. L’unica ragione, è anamnestica.»
«A-anamnestica?»
«Retroattiva.»
«Che significa? Di cosa sta parlando?»
«Vede; il membro, che ha in dotazione; ecco. Non trovando una causa. Ho cercato il donatore nel database.»
«Quindi?»
«Il suo, donatore. La maggior parte dei donatori, lo è.»
«Cosa? Lo è cosa?»
«D’altronde se non ci fossero loro.»
«Chi era il mio donatore?»
«Un; un attore.»
«Un attore? Vada avanti.»
«Un attore di film; come dire; un attore di film porno.»
«Cristo Santo. E con questo? Dovrebbe funzionare meglio, no?»
«Vede. Accade. Raramente, ma accade; che i membri provenienti da quei donatori siano. STREMATI.»
«Che diavolo significa?»
«Che non ne possono più. Lei comprenderà.»
«Ma; ma, lui. Il membro, voglio dire. Lui riesce a;»
«A darle l’erezione.»
«Quello.»
«Oh, be’, ma lì è un discorso di vasi sanguigni. Di pressione di vasi sanguigni.»
«Mi sta dicendo che questo coso che mi avete messo?»
«È a salve.»
«Prego?»
«È a salve. Lei ha una bellissima arma da fuoco, a salve, se mi passa il termine.»
«Cristo Santo.»
«Una scacciacani.»
«Non posso crederci.»
«Vede, lei comprenderà. Ma sono situazioni statisticamente contemplate. Rare, ma contemplate.»
Libero Anselmi si sentiva truffato. Tradito. Iniziò a inveire contro il dottore, e prima che potesse superare quel breve confine di scrivania che lo separava dal collo di quel mentecatto si ritrovò sbattuto in strada da due energumeni travestiti da infermieri. Urlò ancora qualche minuto davanti al portone dello studio, tra lo stupore dei passanti.
Trascorse il pomeriggio a guardare quel membro che non era suo, tanto coriaceo quanto inutile, un totem piantato in mezzo alle gambe, monito delle eiaculazioni passate e dannazione per quelle future. Che poteva fare? Di denunciare quei ciarlatani in camice bianco non se ne parlava. Che avrebbe detto il suo avvocato? E in questura? Già si vedeva, zimbello degli agenti del quartiere prima, di tutta la città poi. Di certo, un caso come il suo finiva in televisione o su qualche inserto dei quotidiani locali. E da lì al web il passo era breve. Sarebbe diventato zimbello dell’universo.
Ma di tutta la popolazione terrestre, solo di una persona gli importava veramente che non venisse a conoscenza della verità: Greta.
«Sembra diverso.»
«Cosa? Cosa è diverso?»
Quella notte Libero Anselmi non era riuscito a evitare le insistenti avance della moglie, e quando lei, nella stanza da letto illuminata solo da una lampada, in un rito di carezze e labbra schiuse era scesa dal petto, alla pancia, giù fino al dunque del marito, ebbe un attimo di esitazione.
«Che ne dici se spegniamo la luce?» azzardò, troppo tardi, Libero Anselmi.
«È; sembra più; non lo so.»
«Che intendi con “diverso”?»
«Quello che ho detto.»
«Sì, ma diverso come?»
«Diverso diverso.» Greta lo afferrò con la mano smaltata e guardò per un istante il marito, un istante che fermò il battito cardiaco di Libero Anselmi.
«Deve essere passato un bel po’ di tempo, dall’ultima volta. Forse non lo ricordavi più.»
«Sciocco.»
Greta godette come non mai, e fu proprio mentre Libero Anselmi osservava l’estasi sul volto della moglie, e ascoltava le sue grida – non l’aveva mai sentita gridare così, e gli pesava ammettere che il pene nuovo, nonostante fosse malfunzionante per lui, andava che era una bellezza per lei – che comprese il suo martirio, nonché la sua dannazione. Non avrebbe mai più avuto un orgasmo in vita sua. Solo grandi, bellissime e struggenti erezioni. Doveva fingere, ogni volta che lo facevano. Godere di un godimento inesistente agli occhi di Greta, per tutti gli amplessi ancora a venire. E se così doveva essere, se questo era il suo destino, Libero Anselmi decise che non gli restava che assecondarne il volere. Sentiva di avere tra le gambe un monumento in memoria dell’orgasmo defunto, e l’unica via di salvezza era utilizzarlo per il bene del prossimo.
Libero Anselmi, quella notte, decise di diventare un asceta della sega, un altruista del coito, un avanguardista del sesso tantrico.

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