Sparizioni
di Giuseppe Rizza

«Non trovo lo spremiagrumi» disse.
Lui sfogliava velocemente una rivista. Sembrava incuriosito più dalla pubblicità che dal resto.
«Magari l’avrai messo dentro qualche altro sportello.»
Lei si voltò a guardarlo: «E perché mai?»
«Così, per sbaglio.»
Lei tornò a infilare la mano fra un elettrodomestico e l’altro. Erano tutti in fila, come una milizia pronta a fare la guerra.
«Capita, no?» aggiunse lui.
La osservava mentre si era issata a piedi nudi sullo sgabello.
Solo l’anno prima si sarebbe avvicinato a lei tenendo saldamente le sue caviglie fra le mani e baciandole piano i malleoli.
Lei ridendo gli avrebbe intimato di smettere.
«Per caso l’hai usato tu?»
E appena qualche mese fa l’avrebbe contemplata, slanciata com’era, a piedi scalzi e con addosso i pantaloncini di cotone che esaltavano il colore brunito delle sue gambe abbronzate.
«Quando ho voglia di bere frutta compro i succhi già pronti» rispose lui.
«Frutta acida immagino» disse lei, scendendo dallo sgabello.
Era sempre più calamitato dalle pagine che reclamizzavano qualsiasi prodotto: dai cerotti callifughi all’ultimo modello di televisore capace di rendere vivace anche il grigio. Saltava velocemente gli articoli, le opinioni degli opinionisti, i pareri degli esperti. Ciò che gli interessava era sapere se, anche per pubblicizzare una fascia elastica per attempati settantenni con la passione dell’alpinismo, avevano ingaggiato la stessa ragazza che compariva nella pubblicità delle crocchette di patate a forma di cono gelato.
Questo suo inatteso moralismo lo tenne preoccupato per tutta la durata della cena.

Lo spremiagrumi era dentro il cofano della sua auto. Questo lui lo sapeva.
Si stava dirigendo verso il porto, approfittando del fatto che lei, seduta sul sofà a gambe incrociate, gli aveva chiesto che ne pensava di noleggiare quel certo film al distributore automatico della videoteca in cui si rifornivano in serate come quelle.
Lui non se lo fece dire due volte, malgrado del certo film non gli interessasse nulla.
Quando lui afferrò il giubbino primaverile e aprì il portone, lei aveva sulla faccia un sorriso di soddisfazione tipico delle persone certe di aver appena risolto una situazione spinosa.
Le strade erano quasi completamente deserte.
Arrivato al porto rimase qualche minuto in auto, con lo sguardo fisso al moto delle barche ormeggiate.
Poi scese, prese lo spremiagrumi dal cofano, se lo rigirò fra le mani.
Per la prima volta si era accorto che l’interno di quell’aggeggio era tutto color arancio.
Una promessa di buon funzionamento, pensò, e scagliò l’elettrodomestico in mare, il più lontano possibile.
Sentì il tonfo, e dopo un paio di secondi lo vide galleggiare.
I fari che illuminavano il porto erano capaci di allungare strane ombre sulla superficie dell’acqua.
Chiuse il cofano, voltò lo sguardo verso il bar del porto, e pensò che sì, una birra se la poteva concedere.

Si sedette a un tavolino e avvertì il primo sorso freddargli la gola. Gli altri furono rapidi e regolari.
Il locale galleggiava d’inedia, tanto che quando appoggiò alcune monetine sul bancone il cassiere sembrò avere un sussulto, come se si ridestasse da una sonnolenza di lunga durata.
Prima di uscire diede uno sguardo all’orologio, e prima di entrare in auto verso il mare.
Dello spremiagrumi non c’era traccia. Si poteva affermare con assoluta certezza che era definitivamente scomparso.
Lungo la strada del ritorno vide un uomo intento a incollare un grande manifesto pubblicitario.
C’era la foto di una donna segata a metà. L’altra metà stava per esserle incollata accanto.
La donna indossava esclusivamente dell’intimo nero.
Lui rifece il giro del quartiere, dato che a prima vista la foto gli era sembrata leggermente sgranata.
L’uomo non c’era più. Allora scese dall’auto, osservò alcune strisce di colla scivolare lungo la carta, ripeté sillabando il marchio produttore riprodotto in modo assai visibile sul manifesto, e si accorse che il prodotto reclamizzato era una nota bevanda alcolica.

Quando aprì la porta di casa era passata poco più di un’ora.
Lei era ancora davanti al televisore, ma in una posizione diversa da quella in cui l’aveva lasciata.
Senza voltarsi gli chiese dove fosse stato.
La macchinetta self-service era guasta, disse, e con un gesto rapido appoggiò il giubbino su una sedia e si diresse velocemente verso le scale che lo avrebbero condotto al piano notte.
Arrivato all’ultimo scalino gli parve di avvertire la presenza di lei che lo guardava dai piedi delle scale.

Di frullatori lui ricordava di averne visti in casa almeno due, forse anche tre.
Lei era uscita. Non le aveva chiesto dove, né lei si era sentita in dovere di comunicarglielo.
Lui prese una delle sedie della cucina e vi salì sopra. Dentro uno sportello trovò tre frullatori.
Uno bianco, uno di un verde trasparente, uno color giallo limone. Li smosse leggermente uno per uno. Gli sembravano tutti fondamentalmente uguali. Scelse quello bianco perché a suo parere dava meno nell’occhio.
Quando lo mise all’interno del bagagliaio dell’auto e lo fissò un’ultima volta come un cane che si sta abbandonando per strada, pensò che quel bianco e nella fattispecie un frullatore bianco era proprio il culmine della banalità su scala elettrodomestica.
Rientrò in casa, salì le scale e si tuffò a pancia in giù sul letto matrimoniale.
Il suo naso affondò nel piumino e si impregnò di un dolce profumo, che giunse gradevole fino al cervello. Chiuse gli occhi ed emise un lungo respiro. Lo stato d’animo che più lo avrebbe rappresentato in quel momento era il sollievo.

Quando lei tornò in casa la ritrovò che in volto era ancora gocciolante. Aveva la maglietta impregnata di sudore.
«Giacomo» gli disse, aggiungendo una piega sorridente alle sue labbra.
«Chissà che fine avranno fatto le tue tossine» rispose lui guardandola negli occhi.
Lei rise e si avvicinò a lui. Lui si alzò dal divano, appoggiò sul tavolo la pubblicità con tutte le offerte della settimana della catena di supermercati dietro l’angolo, e le chiese se le andava un frullato di banana: ne erano rimaste alcune in frigo e la confezione di latte era stata aperta solo la mattina.
«Ma grazie… a cosa devo queste attenzioni?» disse, e si avvicinò ancora di più a lui, che aveva aperto il frigo e preso le banane.
«Deve per caso farsi perdonare qualcosa?» chiese maliziosamente.
«L’essermi addormentato senza averle dato la buonanotte?» domandò lui, che intanto stava sbucciando le banane.
Lei rise ancora, ma sottovoce. «Cosa stava facendo prima che io arrivassi?»
«Stavo sfogliando quei fogli con tutte le offerte speciali della settimana. Si imparano molte cose.»
Lei buttò un occhio sul tavolo e vide che già alla prima pagina c’erano diversi prodotti cerchiati e sottolineati a penna.
«Potresti prendermi il frullatore mentre io affetto le banane?» le chiese lui.
Mentre lei era alla ricerca del frullatore, lui le disse che avrebbe voluto sapere come nasce un depliant di quel tipo, come preparano tutte quelle foto dei prodotti, tutte le scritte, il perché di quel colore e di quel carattere, il perché quella settimana tal prodotto costava al cliente ottanta centesimi in meno e la settimana dopo ottanta centesimi in più, tutto per piegare comunque la clientela al loro scontato inevitabile finale: in ogni caso il guadagno.
Lei, mentre muoveva la mano fra i vari elettrodomestici, intenta a cercare il frullatore più adatto per un frullato, non lo stava a sentire. Quando si accorse che mancava uno dei suoi elettrodomestici preferiti, la voce di lui ormai era nient’altro che un rumoroso sottofondo.

Il frullatore fu fatto fuori nel primo pomeriggio.
Lui condusse l’auto per una strada secondaria che portava in una delle spiagge libere della zona.
Sostenere che d’inverno fosse poco trafficata sarebbe un eufemismo.
Prima di scendere dall’abitacolo, afferrò il frullatore che aveva poggiato sul sedile accanto al suo.
Percorse una decina di metri, lo distese sull’asfalto, sul tratto di striscia bianca che indicava la possibilità di sorpasso, e tornò in auto.
Fu sorpreso quando un’altra autovettura, nel senso opposto al suo, arrivò nella sua direzione.
L’uomo al volante non sembrò sorpreso di vedere un elettrodomestico sull’asfalto, ma rallentò qualche metro dopo, per scorgere chi ci fosse oltre il finestrino dell’altra auto.
Lui abbassò la testa verso il cruscotto del passeggero, come a fingere di cercare qualcosa.
Quando la vettura si allontanò, riavviò il motore cercando di acquistare velocità il prima possibile.
Cercò di colpire il frullatore con la gomma sinistra dell’auto, sperando in cuor suo di averne almeno rovinato le funzionalità, ma la forza data fu poca, e quello fu solo trascinato avanti.
A parte qualche scheggiatura superficiale, il frullatore poteva considerarsi quasi intatto.
Tornò in auto, andando in retromarcia per qualche secondo, così da prendere una rincorsa più lunga e acquistare maggiore velocità e violenza nell’impatto.
Ma anche in questo caso il risultato non fu come l’aveva previsto, e cercò ai bordi della strada, fra gli sterpi, una pietra che facesse al caso suo.
La trovò e fu con quella che lo finì.
Poi raccolse i resti, e li sparse per la campagna.

In uno di quei pomeriggi in cui rientrò prima del solito da lavoro, si mise sul divano e si concentrò sulla pubblicità degli orologi.
In qualsiasi giornale e rivista, aveva notato da tempo, gli orologi reclamizzati segnavano sempre le dieci e dieci. «O le ventidue e dieci» aggiunse sottovoce.
Si chiese perché. Quale strategia di marketing ci fosse dietro. Si chiese se fosse un implicito invito, come un novello carosello rivisto e corretto ai giorni nostri, a mandare i figli a letto a quell’ora, per poter accrescere in loro la speranza di una migliore resa scolastica.
Ma scartò subito l’ipotesi.
Quella sera, lei, mentre mangiavano cinese sul tavolo di formica della cucina, gli disse che era preoccupata perché mancavano all’appello diversi elettrodomestici.
Gli chiedeva come fosse possibile.
«Forse i marziani» disse lui. Ingoiò dell’altro fritto e aggiunse: «O l’inizio di un’invasione aliena».
Lei continuò a inghiottire con malcelata calma. Non parlò per alcuni minuti.
«L’hanno detto anche alla radio, stamane. È un rischio reale.»
«Non hai mai avuto senso dell’umorismo» disse lei.
«E del ridicolo?» chiese lui.
«Neanche quello.»

Quando decise che era arrivato il momento dello sbattitore elettrico, lui ebbe poca fantasia.
Erano appena le sette di mattina, e mentre lei era in bagno, lui ne approfittò per leggere gli annunci mortuari apparsi il giorno prima sul quotidiano locale.
Era morto pure un veterinario, e tutti gli animali che aveva curato ne davano il triste annunzio.
Quei nomi non gli dicevano nulla, e così neppure le foto in bianco e nero di uomini e donne che corredavano le parole di circostanza.
Notò che nell’angolo in basso era spiegato come funzionava il servizio. Ogni parola due euro.
Anche la sintassi aveva un suo prezzo.
Mentre lei si stava asciugando i capelli, lui ne approfittò per prendere lo sbattitore elettrico e infilarlo direttamente nel sacco nero della spazzatura.
Aveva ceduto alla banalità.
Il sacco era già quasi pieno. Indossò i guanti di plastica colorata per lavare i piatti, e smosse un po’ i rifiuti organici contenuti all’interno, spinse dentro lo sbattitore, poi prese dal frigorifero alcune foglie esterne dal cespo di lattuga e lo coprì con quelle per non farne notare la presenza all’interno del sacco.
Si sfilò i guanti, si lavò le mani, e iniziò a preparare la colazione come nulla fosse.
Fette biscottate dorate fin dalla loro immagine che campeggiava sulla confezione, e confettura di frutta biologica.
Quando anche lei entrò in cucina per mangiare qualcosa prima di andare al lavoro, lui stava leggendo gli ingredienti della confettura, riportati sull’etichetta.
«Quindi riguardo al discorso di ieri, che parere ti sei fatto?» gli chiese lei.
«Quale discorso, tesoro?» rispose lui.
«Grazie per il tesoro» disse lei.
Incontrarono i loro sguardi e sorrisero insieme per appena un secondo. Il sorriso di lui divenne subito una risata.
«Riguardo ad alcuni elettrodomestici che avevamo in casa e che non si trovano più» disse lei.
«Forse sei tu che non li trovi, tesoro. Magari loro sono ancora in casa e tu non lo sai.»
«È un gioco? Perché se è un gioco mi arrendo, svelami la soluzione.»
Sul viso di lui tornò il sorriso.
«Hai provato a fare denuncia ai carabinieri?» aggiunse lui, ricomponendo l’espressione del suo viso. «Magari potrebbero esserci dei ladri nel quartiere.»
Lei contrasse i muscoli del volto. Raggiunse la macchina del caffè espresso, e in due minuti, nel silenzio della cucina, mandò giù il liquido nero.
Lasciarono i resti della colazione sul tavolo, e mentre lei aprì la porta di casa per attraversare il vialetto acciottolato e raggiungere la sua automobile, fece passare per primo lui che in una mano reggeva la valigetta da lavoro, quasi vuota, e nell’altra soppesava il sacco dei rifiuti organici, particolarmente pesante e allo stesso tempo dall’odore nauseante.
Circa due metri prima di arrivare alla sua auto, il sacco di plastica cedette di colpo, riversando sul vialetto, disordinatamente, tutto il suo contenuto.
Non fu difficile accorgersi della presenza, fra gli scarti alimentari, di uno sbattitore elettrico.
Lei lo raggiunse, lo smosse dalle bucce di banana di cui era circondato, lo mostrò all’altezza dello sguardo di lui e gli chiese, lentamente:
«Cos’è questo?»
«Credo sia uno sbattitore, tesoro» disse lui.

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