Fatti una risata
di Luca Mercadante

Fatti una risata, facebook ancora mi consiglia cose del tipo: Manda un messaggio privato a Carla, Riallaccia i tuoi rapporti con Carla, È molto che non contatti Carla, Contatta Carla.
La cosa comica è che mi capita così di rado di pensarti che per la maggior parte dei giorni è come se tu non fossi mai esistita, malgrado ciò clicco sul link e navigo un po’ sulla tua pagina. È diventato un mausoleo colmo di messaggini vomitevoli. Guardo le tue foto, non c’è alcun riferimento a me. Non ridere adesso, ma devo dire che un po’ ci contavo. Cerco tra i tuoi amici di facebook il contatto di Rosaria, che al tempo credevo fosse l’unica a sapere di noi. Quanto n’è passato di tempo?
Sappi che non è successo niente di speciale intanto.
Io sono ancora qui, in questo momento anzi sono proprio dov’ero quando l’ho saputo: davanti al computer a masturbarmi con un porno in streaming. Era passato solo un mese dal nostro litigio e guarda come mi ero ridotto.
Mi ostino a chiamarlo litigio anche se è successo solo che mi hai chiesto: Che ne faresti ancora di noi due? e io: Più niente forse. E dopo abbiamo anche fatto l’amore. Ti sei rivestita come se niente fosse. Mentre lo facevi ti guardavo dal letto. Ho notato che le punte delle anche, le creste iliache, ti sporgevano più del solito, Sfilata importante in vista? mi hai risposto solo con un, Già. Non capirò mai la maniera in cui i padroni della moda sono attratti dalle donne se poi vi riducono a questo modo. Nessun modo, mi hai risposto tu. Per un attimo hai smesso di armeggiare con fibbie e camicetta, mi hai fissato: E poi sai com’è, ai cani piacciono le ossa. Ma io a quel punto ero già preso dalla sensazione di piccolo disgusto che mi viene sempre dopo l’amore, che per farmela passare non ti ascoltavo già più. Sono uscito un attimo dalla camera, Vuoi da bere? ti ho chiesto per dissimulare la voglia di restar solo, Solo se hai della Cocazero. Sono tornato e tu eri sparita lasciando l’orologio sul comodino. Un orologio da due soldi che ti avevo regalato proprio io.

Ora. Hai capito bene. Quando l’ho saputo stavo guardando un porno, ma non storcere la bocca e non darmi del poverino, altrimenti mi blocco e non vado più avanti. Mentre ero lì che provavo a farmelo venire duro, mi ha contattato Valentina sulla chat per un’assemblea al centro sociale a Napoli, e adesso Carla mantieniti perché arriva la parte divertente: io continuavo a toccarmi e a guardare il video mentre Valentina scriveva: Hai saputo chi è morta ieri notte? Carla. Te la ricordi Carla? Carla quella di miss Italia che arrivò quasi in finale?
Eravate in macchina, mi ha scritto, tornavate da una discoteca e il tuo fidanzato è andato fuori strada.
Il suo fidanzato?
Stavano insieme da neanche dieci giorni. Lui però non si è fatto niente. Povero ragazzo, sai come si sente adesso? Dicono che è svenuto e che poi è successa una cosa tremenda con un branco di cani.
Non ho fatto niente per un po’. Valentina ha continuato a scrivermi. Leggevo, non tutte le parole mi arrivavano, ma ancora ne ricordo qualcuna: Figli di papà, Troppi soldi in tasca, Cani rinselvatichiti, La Mercedes del padre, Si è svegliato per l’abbaiare dei cani ed è corso a chiedere aiuto.
La cosa davvero simpatica è che Valentina aveva la chat impostata con le emoticon automatiche e quindi, magari non ci faceva caso, ma sulle i spuntavano i cuoricini, i punti interrogativi si trasformavano in cavallucci marini con tanto di bolle, quando scriveva cani a me apparivano dei cuccioli e se lei digitava notte io vedevo la luna piena, Carla è morta, e nella finestra della chat è apparso uno scheletro che inciampa in una bara. Era buffo.
Non le ho risposto e dopo un po’ ha smesso di scrivere. Ero rimasto con il coso moscio in mano. Il porno che stavo guardando sembrava non finire mai: l’attore aveva messo le due ragazze in ginocchio ai suoi piedi. Una di loro, visto che nella storia era la segretaria, portava un paio di occhiali da vista; l’attore le ha colpito due volte il volto con il membro ancora mezzo duro e gli occhiali sono volati via, poi le ragazze si sono baciate a lungo giocando con lo sperma che filava da una bocca all’altra. Il video era lì per finire quando il collegamento internet si è bloccato e sul mio schermo è rimasta impressa l’immagine del viso della porno segretaria. Il fermo immagine ha rivelato la smorfia celata dal finto sorriso, dal finto godere. I suoi occhi in primo piano erano quelli di una che sta per piangere e se non avessi saputo che quelli che aveva in faccia erano rigagnoli di liquido seminale, avrei creduto che fosse il volto della Madonna in lacrime.

Che pena: in macchina col fidanzato.
Che pena era la tua frase preferita, la usavi come intercalare offensivo.
Che pena le macchine, le moto, le barche: i magnifici mezzi di locomozione dei tuoi amici, cugini e di tutti i buoni partiti che ti hanno corteggiata senza mai essere abbastanza. Che pena: oggi mi sembrano insignificanti, ma durante i nostri anni sono stati la mia dannazione. Ne ho odiato uno più di tutti, forse perché è stato il primo, veniva a prenderti fuori scuola con la moto, era il figlio dei Salluzzi, quelli dei cinema, a proposito, adesso hanno un multisala in un centro commerciale. Da queste parti se ne sono aperti tre di centri commerciali, in due anni, ma non so se ti sarebbero piaciuti. Il tuo amore per lo shopping era di tipo diverso e di sicuro le masse che si accalcano all’arrembaggio di un’offerta ti avrebbero fatto dire: Che pena.
Il collegamento internet è ripartito e la porno segretaria ha ricominciato a ridere e a leccare lo sperma intorno alle labbra. Mi sono reso conto di lacrimare dall’occhio sinistro. Forse avevo guardato con troppa fissità lo schermo.

Ho provato a raggiungere casa tua in macchina ma, ci credi? Sbandavo. Non prendermi in giro, ho anche sbagliato strada. Agli incroci non sapevo se andare a destra o a sinistra. All’altezza della caserma dei Carabinieri ho visto il tuo palazzo in lontananza, ho parcheggiato e mi sono avviato a piedi; non mi sembrava nemmeno di essere nella mia città. Il telefono ha cominciato a squillare una prima volta, poi una seconda, era tuo cugino Antonio. In seguito ci siamo rivisti, sai? Ma solo una volta, per una birra, qualche mese dopo il funerale. Seduti al pub non sembravamo neanche così diversi, abbiamo parlato un po’ di quello che facevamo, siamo scivolati sui ricordi del liceo, delle mazzate che ci davamo al primo anno, del professore Carotenuto che all’ennesima scazzottata ci costrinse a star seduti allo stesso banco, Quando due ciucci non vanno d’accordo li devi mettere a spingere lo stesso carretto, disse poi soddisfatto al preside.
Davanti ai boccali di birra sembrava ci fossimo ritrovati, nonostante tutto. Ma non era vero. I due ciucci hanno preso direzioni troppo diverse.
Non avevamo ancora pronunciato il tuo nome. La cameriera è arrivata con il secondo giro di birre e, questa ha davvero dell’incredibile, per sbaglio ha portato anche una Cocazero. Antonio è rimasto a bocca aperta, dovevi vederlo come sbatteva gli occhi e scuoteva la testa, ma ha avuto la prontezza di dire alla cameriera di lasciare la Coca a noi. Con quel bicchiere sembrava fossi anche tu a tavola, che da un momento all’altro saresti tornata dal bagno con un aneddoto sulla poverina di turno, vestita senza gusto, vista davanti allo specchio che s’inguaiava la faccia con del trucco pacchiano. Abbiamo riso elencando i tuoi Che pena e il modo in cui trattavi le commesse, Però alla fine la volevano tutti, ha detto Antonio. Mi è tornata in mente l’ultima volta che c’eravamo visti, le ultime cose che ti avevo sentito dire: Che ne faresti di noi?, Già, Nessun modo, Sai com’è, ai cani piacciono le ossa.
Nel parcheggio, prima di salutarci, Antonio mi ha detto quello che era successo con tua madre il giorno prima del nostro litigio. Ha raccontato quello che avevi combinato, Ha rivoltato la casa, mi ha detto, Per stare con te, voleva stare con te.
Non facciamo il film di Nino D’Angelo, l’ho interrotto io.
Sono montato in auto, lui era ancora lì impalato, ho abbassato il finestrino e sono rimasto a guardarlo. Lui ha preso le chiavi dalla tasca, sembrava volesse dirmi qualcosa, ma poi ci ha rinunciato, si è voltato e incamminato.
Carla voleva stare con me, dici? ho gridato alla sua schiena.
Senza rendermene conto avevo cominciato ad alzare la voce e a stringere il volante.
Antonio, tua cugina era in macchina con il fidanzato e io non so se ridere o mettermi a urlare in mezzo alla piazza, il suo fidanzato!
Sono sceso dalla macchina, l’ho inseguito, Che dovevo fare? Le avrei dovuto dire di lasciare la famiglia e tutto il resto?
Antonio si è rigirato, Macché lasciare la famiglia, mi ha detto, Le cose si sarebbero aggiustate, come succede sempre. L’hai fatta troppo lunga, ha detto. Il film di Nino D’Angelo l’hai fatto tu.
Io?
Sei stato tu a dirle di no l’ultima volta.
Anche questo gli avevi detto e adesso lui mi guardava con aria di sfida. Non ho risposto subito e non perché mi avesse preso in contropiede, c’era anche quello, sì, ma non l’ho fatto perché con tutta quella storia lui voleva solo chiarire che in quella macchina ti ci avevo messa io, e come facevo a dargli torto.
Antonio, gli ho detto, mi dispiace per le scenate che ho fatto al funerale, forse ti hanno illuso.
Lui ha arricciato le sopracciglia, Non capisco.
Mi sono fatto scappare un sorriso imbarazzato, Io a Carla me la scopavo e basta.
Poveraccio, Antonio era innamorato di te da sempre e quando gli ho detto quella cosa dello scoparti e basta mi ha rotto un dente. Avevo già capito che ti confidavi con lui, il giorno del funerale, mentre venivo a casa tua e davanti alla caserma dei Carabinieri il telefono m’è squillato per la terza volta, era ancora lui, ho risposto, Lucio sto venendo a casa tua, mi ha detto, No Anto’ sto andando da lei.
Mi ha chiesto dove fossi, ha detto che dovevo aspettarlo, che non era una buona idea venire a casa tua da solo, che tu non eri lì, che non ci saresti stata neanche nella bara, che il tuo corpo bellissimo era stato dilaniato dai cani, che le mani non si trovavano più e che la pelle della faccia…, Oramai ci sono, gli ho detto e poi ho dovuto attaccare perché Antonio lacrimava forte e io non ce la facevo a sentire uno come Antonio lacrimare forte, era difficile, lacrimava così forte che mi sembrava di farlo io, mi pareva di tirare su col naso. Tu lo sai Carla, scherzi a parte, un uomo non può camminare per strada e piangere senza un motivo. Ti deve morire un figlio, ti deve morire la madre o ti deve morire la ragazza, capisci?
Non si può piangere una persona senza averne i titoli.
Sono arrivato sotto casa tua, non ho avuto il coraggio di venir su, sono rimasto seduto sul muretto di fronte al tuo condominio. C’era un sacco di gente che entrava e usciva, non immagini quanta. Potresti esserne orgogliosa, ma forse non te ne frega più niente. Dopo un po’ ho visto Rosaria uscire dal portoncino del palazzo, si è venuta a sedere vicino a me, Ti ho visto da sopra, ha detto e poi anche lei ha attaccato a singhiozzare, si è messa a urlare, forse, non lo so.
Fatti una risata Carla, forse ero io.
Rosaria mi ha abbracciato, mi ha chiesto di calmarmi, è arrivato anche Antonio. Mi hanno portato a casa dei miei genitori e senti questa, sono rimasto a letto per qualche giorno, non ci credi vero? Quando sei morta mi hai fatto venire la febbre, come la prima volta che ci baciammo alla festa dei sedici anni di Antonio, Però non devi dirlo a nessuno, dicesti prima di tornare in giardino dal tuo ragazzo del tempo e gli altri amici.
La febbre a quaranta, neanche al corteo funebre sono potuto venire. Vedevo le cose, capisci le risate? Le cose che non c’erano, cose che non potevano essere vere. Ti ho vista prepararmi il caffè la mattina. Ti ho vista camminare sotto il mio braccio davanti a tutti. Ho visto che avevo un buon lavoro e che non ti facevo mancare niente, che non ero inferiore a nessuno del tuo giro. Le comiche Carla, ho fatto proprio le comiche.
Col passare dei giorni sei diventata un pensiero sempre meno presente. In primavera era già come se non ti avessi mai conosciuta. Non hai cambiato la mia vita né l’hai resa triste. Solo che dopo quello che è successo mi sento un po’ meno intelligente.
I quattro giorni di febbre me li sono fatti tutti dai miei genitori. Appena tornato a casa ho tolto la batteria all’orologio da due soldi. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine delle lancette che si bloccano.
Accarezzo spesso l’idea d’inviare una mail al tuo account, di cui solo tu conoscevi password e chiave d’ingresso. Mail che nessuno potrebbe mai leggere né cancellare, ma quando mi ci metto poi mi distraggo, perdo il filo, vengo preso da altro, ho sempre l’impressione di avere mille cose da fare. Invece spero che nel mondo dei morti ci sia calma, che tu abbia tutto il tempo per pensare solo a te stessa e che tu possa mangiare quanto vuoi senza preoccuparti della linea e spero che ti siano rispuntate le mani, che ti abbiano rincollato la pelle della faccia. Ah! Il centro sociale ha chiuso. Dicevi: Lo fate per moda. E io mi arrabbiavo. La laurea non mi è servita a niente ma ho un lavoro e da oggi ho ripreso a scrivere. Tutto qui, credo che una mail non te la scriverò mai né infilerò un messaggio in una bottiglia, ce ne ho messo di tempo ma alla fine ho compreso di non essere speciale né tanto diverso dagli altri che ti hanno voluta e oggi ti lasciano messaggi su facebook:
Ancora un saluto dal mondo dei vivi e giuro, non ti stai perdendo niente che ne valga davvero la pena.

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