È successo sott’acqua
di Mauro Maraschi

Se tutto andrà come deve andare, tra una quarantina di minuti il padre della mia futura ex moglie si sposerà sott’acqua.
Prima di trovarmi a venti metri di profondità, con tre tonnellate di acqua sulla testa, non avevo mai riflettuto sul fatto che il rubinetto dell’ossigeno si trova all’apice della bombola, e quindi alle spalle dei sub, e quindi adesso alle mie spalle. Se qualcuno decidesse di venirmi dietro e di chiuderlo, considerati i legacci del gav e la mia lentezza, non farei mai in tempo a riaprirlo.
Hannah è più veloce di me in tutto, e i suoi piatti sono più buoni, e da piccola, ai tempi del Cheltenham Ladies’ College, è stata campionessa di snowboard, scherma e squash, e a squash ovviamente mi batte a occhi chiusi. Ma queste sono le piccole cose. Suona il fagotto, Hannah, in una band folk-progressive che fa ballare il pubblico come ai concerti di Bregović, mentre io strimpello la chitarra solo quando nessuno può sentirmi. E, pur essendo medico da poco, Hannah guadagna già 2.250 pound al mese. È sempre stata meglio di me, Hannah, in tutto, tranne che a compensare.
La compensazione è una tecnica necessaria, in condizioni di forte pressione esterna, a salvaguardare l’integrità dell’orecchio medio, perché se trachea, laringe e seni paranasali si adattano spontaneamente all’aria ricevuta dai polmoni, l’orecchio medio, per via della struttura ossea, è invece soggetto al rischio di implodere. Sott’acqua le tecniche di compensazione sono tre, la Marcante-Odaglia, la Valsalva e Toynbee, ma Hannah non sa usare nessuna di queste.
È stato Theodore a imporci un corso intensivo di Scuba Diving. Lui ama immergersi, lo fa da anni, e voleva che per il suo matrimonio fossimo tutti in grado di farlo, perché voleva sposarsi sott’acqua, Theodore. L’immersione, d’altronde, non è una cosa difficile, non richiede nessuna abilità, anzi, non ti è nemmeno richiesto di saper nuotare. Anche per questo Hannah, campionessa di nuoto ai tempi del Cheltenham Ladies’ College, non ne era affascinata. Accontentare Theodore, però, poteva essere la nostra ultima chance e così un mese dopo eravamo sul fondo di una piscina comunale a fare pratica.
Tra teoria e pratica, però, ne corre. È la terza volta che Hannah si ferma a quattro metri e preme il naso con indice e pollice, gonfiando le guance e aggrottando la fronte, e mantiene la calma, benché sia evidente che soffra, perché la pressione è un punteruolo nel cervello e non è tanto un dolore acuto quanto spaventoso, per via di ciò che minaccia: l’implosione del timpano. Eppure Hannah digrigna, e mi fa segno di rimanere dove sono, quattro metri più giù, perché starà lì finché non avrà compensato, perché una come lei non si sconfiggere nemmeno dal mare.
Theodore è davanti a me con la futura moglie, alla quale mostra delle attinie, puntandole con l’indice, una, due, tre volte, perché non c’è molto altro che si possa fare sott’acqua: si può avanzare con una leggera flessione delle pinne, e puntare qualcosa col dito, una, due, tre volte, ma niente più, perché non è considerato etico interagire con il fondale, né è consigliata un’eccessiva attività motoria, che serve solo a consumare l’ossigeno e ad aumentare il rischio di barotraumi.
Gettata un’occhiata ad Hannah Theodore torna a puntare le attinie, irritato che sua figlia non sia lì con loro e che stia fallendo nella compensazione, una cosa che sono riuscito a fare persino io.
Theodore è un collerico. L’ho visto schiantare una caffettiera bollente contro la lavastoviglie solo perché il caffè non usciva, e perché a caricarla era stata Hannah, rovinandogli così il piacere di un vero caffè italiano, a lui che è inglese ma che ha una vera caffettiera italiana, un vero forno da raclette, un intero jamón serrano e così via. Fino a quindici anni fa Theodore picchiava la prima moglie, con i pretesti più stupidi, e non di rado picchiava anche Hannah e suo fratello Oliver, finché una notte il piccolo Oliver non l’ha minacciato con un vero pugnale da immersione, e allora la madre di Hannah ha chiesto il divorzio. Ma Theodore non ha imparato la lezione, e dopo quel divorzio ne ha avuto un altro, e per gli stessi motivi, e il fatto che sott’acqua siamo tutti più lenti, adesso, non so se mi rasserena o mi angoscia.
Se non fossimo sott’acqua direi che Hannah sta piangendo. Sono cinque minuti che preme il naso, che gonfia le guance, che mi fa segno di rimanere dove sono, ma la sua calma ostentata è diventata una smorfia. Sembra un tonno morente.

Ci siamo conosciuti qui a Ustica, Hannah e io, quattro estati fa, e già a gennaio io avevo lasciato il lavoro, un posto da 1.150 euro come video-editor per una tv satellitare che programmava soltanto film erotici: mi pagavano 1.150 euro per montare donne nude e io sono volato a Brighton dove, diceva Hannah, serviva un videomaker per l’etichetta discografica della sua band, ed è andata anche bene finché la sua band non è diventata famosa, ed è stata comprata da un’etichetta più grossa, che aveva già i suoi videomaker, e io sono rimasto a terra. Nel frattempo, però, ci eravamo sposati e io, pur di non riprendere l’aereo, ho lavorato in diversi pub, fatto il giardiniere e persino gestito un corner shop, ma più Hannah si avvicinava alla carriera e più la sua stima nei miei confronti colava a picco, finché non le hanno trovato una papillomatosi sotto la lingua, segno inequivocabile di un pompino praticato altrove.
Quando Theodore ci ha chiesto di organizzare per il suo terzo matrimonio «qualcosa di eccentrico in un luogo esotico», ovvero una cerimonia sott’acqua, nella quale il bacio degli sposi sarebbe stato lo scontro tra due respiratori e il riso una manciata di sabbia, non aveva idea, Theodore, che Hannah e io stessimo per divorziare. Se glielo avessimo detto avrebbe spaccato tutto, perché per quanto gli facessimo schifo come coppia gli serviva qualcuno che parlasse italiano e che chiedesse i permessi al comune di Ustica: abbiamo preferito fingere armonia, in questa vacanza fasulla, che affrontare la sua ira.

Oggi è il terzo giorno, l’ultimo, e questa terza immersione si dovrebbe concludere con la cerimonia, nella stessa pianura a otto metri di profondità dove abbiamo imparato l’assetto neutrale, ovvero il controllo totale dei polmoni. Ma proprio perché è il terzo giorno, e l’ultimo, e poiché da quest’immersione dipende l’esito della cerimonia, lo spettro della collera di Theodore rende tutto più difficile, e Hannah, in preda all’ansia da prestazione, non riesce a compensare.
L’immersione non è uno sport, ma un passatempo passivo, basato unicamente sulla disciplina. È per questo che Theodore ci va matto, perché ama la disciplina, lui, chirurgo nell’esercito, stimato e infallibile nonostante una presunta sindrome di Asperger. Tutto ciò che devi fare, per fare immersione, è eseguire alla lettera la sequenza di montaggio dell’equipaggiamento: verificare il respiratore, ancorare la bombola al gav, chiudere le fibbie, indossare le zavorre e così via. Sbaglia un passaggio e rischi un barotrauma. Ma anche lì, ci sono cento imprevisti da considerare: può finirti l’ossigeno per una perdita, può scapparti di bocca il respiratore, puoi rimanere impigliato nelle alghe o qualcuno può chiuderti la bombola alle spalle.

Theodore non approvava la nostra relazione. E quando scherzammo sul fatto di dargli dei nipoti si lasciò scappare un for fuck’s sake e ci suggerì di pensarci su, prima di fare cazzate. Trovava inconcepibile che sua figlia, futuro medico come lui, potesse sposare un videomaker. In parte, il nostro matrimonio è stato più una ripicca che una decisione. A danno fatto, Theodore si dimostrò inizialmente conciliante, ma in seguito non ha mai sprecato occasione di sottolineare il mio ruolo debole all’interno della coppia. Non credo che mi odi, ma non escludo nemmeno che potrebbe venirmi alle spalle, chiudermi la bombola e archiviarmi come un brutto ricordo.
Il fatto che non abbia aiutato Hannah può averlo insospettito. Sarei dovuto scattare e invece sono rimasto lì, quattro metri più giù, così come lei mi ha chiesto, contrariamente a ciò che un marito dovrebbe fare, ovvero contraddire sua moglie a fin di bene, stando almeno ai parametri di Theodore. Così, quando Hannah finalmente ci raggiunge, stremata, la prendo per mano e l’accompagno a rasentare il fondale, puntando le attinie con il dito, una, due, tre volte, e cercando uno sguardo di approvazione di Theodore che, per la prima volta in quattro anni, inaspettatamente, arriva: negli abissi del suo cuore, Theodore deve pur essersi affezionato a me, come a una cisti che non si può asportare.
I lavoretti da giardiniere me li trovava lui. Ho cominciato con il suo front garden, dove ho potato i boccioli di una Maguey Pajarito, che come tutte le monocarpiche fiorisce una sola volta nel suo percorso vitale e la cui fioritura Theodore attendeva da cinque anni. Eppure, anche quella volta, Theodore ha digrignato un for fuck’s sake e ha mantenuto la calma, e nonostante tutto mi ha raccomandato ai suoi amici chirurghi.

Ieri Theodore mi ha incaricato di scegliere un ristorante per l’ultima cena prima della cerimonia. Hannah e io li abbiamo girati tutti in scooter, finché non ne abbiamo trovato uno di lusso, sulla scogliera, che ci è sembrato perfetto, e ci siamo fatti assicurare il migliore dei trattamenti, e io mi sono fatto scappare, in italiano, davanti alla proprietaria, che per far felice Theodore non dovevamo «badare a spese». Risultato: il conto è stato di 529 euro. Abbiamo ordinato quattro antipasti e ne hanno portati venti, abbiamo ordinato una minestra all’astice e ci hanno portato un’aragosta a testa, abbiamo ordinato del couscous ed era accompagnato da un trancio di balena. 529 euro: una follia. Eppure, anche ieri, Theodore ha digrignato un for fuck’s sake, ha sorriso e mi ha dato una pacca sulla spalla.

L’ultimo quarto d’ora è filato liscio. Theodore ha persino scattato delle foto, sembra entusiasta, e manca poco all’appuntamento nella pianura con l’istruttore e l’officiante. Preso dalla spavalderia, con l’intento di rendere Theodore ancora più orgoglioso, prendo le mani di Hannah e la induco a simulare, in questa sospensione, alcuni passi di rock’n’roll imparati insieme al Mo’Jive. Hannah mi guarda terrorizzata, eppure mi asseconda, e fa uno o due movimenti, ma effettuata la giravolta si sente male, e ricomincia a compensare, con un’espressione dolorante. Theodore ci fissa ministeriale, ma poi Hannah, pallidissima, si riprende, mi fa cenno di non farlo mai più e ci invita a seguirla verso la pianura. Ci avviamo, senza più guardarci l’un l’altro.

Sott’acqua siamo tutti pallidi e gonfi come cadaveri, lenti e vulnerabili. Se Theodore mi raggiungesse alle spalle so che, almeno qui, avrei qualche possibilità di contrastarlo, così come, se volessi, riuscirei a chiudere la bombola di Hannah: mi chiedo quanto tempo avrei, chiusa la bombola di uno, per raggiungere l’altro prima che se ne accorga, e mi chiedo quale delle due chiuderei prima, e mi chiedo se riuscirei, in questo silenzio eterno, indifferente, a fare un lavoro pulito, lento ma pulito, e se, una volta fuori dall’acqua, potrei riprendere la mia vita di quattro anni fa, a montare donne nude per 1.150 euro al mese, tornando a parlare la mia lingua, senza i continui giudizi sardonici di un chirurgo con la sindrome di Asperger o le stupide ripicche di una moglie bovina che succhia cazzi infetti a destra e a manca.

Fare immersione è una cosa stupida, un’illusione di onnipotenza, perché è innaturale per un essere umano sopravvivere così a lungo a venti metri di profondità, dove non gli è concesso di far nulla, se non di stare a braccia conserte o di puntare un’attinia con un dito, così com’è innaturale per un essere umano volare, a 800 chilometri orari e 10.000 chilometri di quota, su camion alato di 25 tonnellate, e così com’è innaturale per un essere umano mangiare carne, per via dell’intestino troppo lungo e dei denti troppo fragili, che lo costringono, a differenza di ogni carnivoro naturale, a cuocere la carne pur di renderla digeribile. Dalla notte dei tempi l’uomo ha invidiato le altre bestie e ha fatto di tutto per imitarle, imparando a nuotare tramite tecniche e protesi respiratorie, e imparando a volare tramite protesi alari e poi mezzi volanti, e imparando a mangiare la carne tramite la cottura della carne, altrimenti per lui indigeribile. Ma il matrimonio, mi chiedo, da quale bestia l’abbiamo copiato?

Assorto, mi sono staccato dal gruppo. Loro devono aver raggiunto la pianura, io sono ancora a venti metri di profondità, solo, con tre tonnellate di acqua sulla schiena, radente una verde collina sottomarina – le braccia conserte, le gambe trafitte da correnti gelide: sotto di me il buio, un baratro nero che inghiotte la verde collina sottomarina e le attinie e i coralli e i banchi di orate e le infinite altre cose del mare.
Sgancio la cintura con le zavorre e le osservo affondare nel nulla, ma non salgo di un centimetro. Ho perso tutti: Hannah, Theodore e la sua futura moglie, la mia vita a Brighton e il lavoro – sono leggerissimo, ma non salgo di un centimetro. L’abbandono della zavorra è l’ultimo dei modi per alleggerirsi, ma non ricordo più le procedure, ho perso il comando del gav, mi sento anestetizzato. Forse è così un barotrauma.

Poi, laddove la verde collina sottomarina emerge dal gorgo nero, striata di bianco dal sole, compare un’ombra, e non è la mia, ma è un’ombra alle mie spalle, piuttosto larga, sempre più scura, e con le ultime energie riesco a voltarmi e vedo Theodore, che allunga una mano verso la mia bombola, all’apice, e ne afferra il rubinetto.

Il for fuck’s sake dell’indomani, in rianimazione, sarà l’ultimo che gli sentirò digrignare.

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