Non tutti i bastardi sono di Vienna

Non tutti i bastardi sono di Vienna

Autore: Andrea Molesini
Casa editrice: Sellerio
Pagine: 376

Il titolo di un romanzo non è solo il suo biglietto da visita, ma ne è parte integrante, come e più dell’incipit, perché il lettore ne terrà conto durante la lettura dell’intero testo.
Non tutti i bastardi sono di Vienna non è un titolo felice, sia per la bruttezza intrinseca che per l’esile legame col libro, del quale riprende una frase tutt’altro che significativa, di un brano poco significativo, pronunciata da un personaggio secondario.
Non so se si faccia più o meno fatica ad accettare un titolo del genere quando è attribuito a un romanzo bello, e raro, come quello di Andrea Molesini. Di certo è uno scotto che vale la pena di pagare. La casa editrice Sellerio non è nuova alla scelta di titoli non proprio azzeccatissimi, come non è nuova alla pubblicazione di romanzi italiani insoliti e di grande vigore narrativo. Un esempio su tutti: Quando internet non c’era, opera postuma di Angelo Morino, con buona probabilità il miglior libro italiano del 2009.
Come lo era Angelo Morino, anche Andrea Molesini è un traduttore, ma le analogie tra i due si fermano qui.
Quello di Morino è un libro difficilmente classificabile, un’autobiografia filtrata dalla lente d’ingrandimento del romanziere, sulla quale si proietta l’ombra di un’altra biografia, quella della scrittrice cilena Maria Luisa Bombal, che è allo stesso tempo narrazione parallela e chiave di lettura della narrazione principale; un’autobiografia che sembra sempre sul punto di deragliare verso il realismo magico – Morino aveva tradotto, tra gli altri, Garcia Marquez – o verso la «magia della realtà» di un altro autore cileno, Roberto Bolaño, del quale Angelo Morino era stato amico oltreché traduttore.
Non tutti i bastardi sono di Vienna è invece un romanzo dall’impianto così tradizionale che più tradizionale non si può: è narrato in prima persona, presenta un andamento lineare, si svolge in un luogo e in un lasso di tempo circoscritti.
La storia si sviluppa tra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918, durante la Prima Guerra Mondiale, in un paesino, Refrontolo, a pochi chilometri dal Piave. Il narratore è il diciassettenne Paolo, orfano che vive nella villa di famiglia, Villa Spada, con i nonni Guglielmo e Nancy e la zia Maria. La famiglia Spada è costretta a convivere prima con i soldati tedeschi, poi con quelli austriaci, e si troverà via via sempre più coinvolta negli orrori del conflitto. Paolo conoscerà l’amore e la gelosia, il coraggio e la paura.
Non tutti i bastardi sono di Vienna è un romanzo storico, ispirato a fatti realmente accaduti, tratti da Il diario dell’invasione di Maria Spada, ed è sicuramente un romanzo di guerra, perché anche se trovano ampio spazio le vicende minime degli abitanti della villa, al centro di tutto rimane il conflitto, che monopolizza i discorsi dei personaggi anche in quei momenti in cui il fragore dei cannoni sembra lontano.
L’eccezionalità del romanzo di Molesini non emerge dalla trama o dalla struttura e non è nemmeno da ricercare nella brillantezza dei dialoghi – che talvolta, soprattutto quando si parla di politica, perdono ritmo – o nella bellezza delle immagini – alcune di forte impatto, come le descrizioni dei feriti assistiti nella chiesa, altre un po’ più deboli.
Eppure questa lettura scalfisce qualcosa dentro di noi, e alla stesso tempo arricchisce il nostro sguardo, come pochissime altre.
Molesini, essendo un traduttore, sa che le parole sono importanti, così come lo sono la costruzione del periodo e l’immagine accattivante. Ma sa anche che dietro a queste parole, periodi e immagini c’è qualcosa che permette ai romanzi migliori di mantenere intatto il loro potere di fascinazione pur se tradotti in un’altra lingua. E dietro le parole di Non tutti i bastardi sono di Vienna c’è materiale narrativo di prim’ordine. Per mezzo del conflitto bellico, l’autore mette a nudo il conflitto interiore tra la razionalità e gli istinti dei personaggi, tra la loro crudeltà e la loro etica. La vera resistenza sembra essere quella per arrestare lo sfaldamento delle convenzioni sociali, ultimo baluardo che impedisce a un’umanità stremata di cedere alla propria natura animale.
Quando nelle ultime pagine l’ormai diciottenne Paolo cerca lo sguardo dei soldati, lo cerchiamo anche noi, osserviamo il luccichio sulla sciabola del barone von Ferlischitz e ne aspettiamo trepidanti il movimento. La vediamo calare, la sentiamo frusciare. Chiudiamo gli occhi. E preghiamo che, alla prossima pagina, un miracolo ci salvi la vita.
Marco Gigliotti
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