La doppia vita
di Deborah Willis

Traduzione di Serena Patrignanelli

In una delle mie vite, sono una scrittrice. Questo significa, in sostanza, che contemplo l’esperienza umana standomene in pigiama. La scrittrice dentro di me legge e scrive e pensa alle storie costantemente. Questa scrittrice – chiamiamola Deborah Willis – ha speso intere, piacevoli giornate a preoccuparsi di virgole. Preferisce stare da sola. Se squilla il telefono mentre sta lavorando, lo fissa, inorridita, e si rifiuta di rispondere. La sua schiena è curva per il tempo passato piegata sul portatile, i suoi occhi sono affaticati dallo schermo del computer, e recentemente le è venuto il tunnel carpale. Chi dice che la vita dello scrittore non è faticosa? Può portare, tra gli altri disturbi, all’ossessione per se stessi e a una carenza di vitamina D.
Per fortuna, c’è un’altra me, e lei esce di più. Lavora in una libreria, il che significa che è sempre in piedi, a spostare libri su e giù dalle scale, a metterli e a prenderli dagli scaffali. Sa consigliare libri per bambini, narrativa canadese, e titoli in lingua straniera. Dà il resto, gestisce la cassa, striscia carte di credito nei pos, manda ordini speciali, e riceve riviste. Per lei, i libri esistono per essere mostrati, messi in ordine alfabetico, e venduti. Questa è un’esagerazione, ovviamente – i libri non sono solo prodotti. In effetti, il suo lavoro ha fatto sì che li amasse di più. Ma è una libraia da quasi cinque anni, il che è abbastanza perché un lavoro diventi un’identità. Lo indossa come una seconda pelle. Si chiama Debby e sarebbe felice di esservi utile.

La libreria dove lavoro, la Munro’s Book di Victoria, British Columbia, prima era una banca. È imponente, spaventosa, bella, e trasandata quasi quanto il mio appartamento. È un vecchio edificio con una sua personalità, parte di quello che le guide chiamano appropriatamente il centro «storico e pittoresco» di Victoria. Ha banconi di marmo, quadri alle pareti, scaffali di legno scuro, pavimenti che scricchiolano, e la fama di essere infestato. La mia parte preferita del negozio è quella che i clienti non vedono mai: il seminterrato, che è composto da una serie di cripte di cemento armato.
Quando Munro’s era una banca – durante l’era in cui le banche non erano ancora situate in edifici grandi e anonimi – queste cripte devono aver custodito ricevute, assegni, e cassette di sicurezza. Adesso, sono il posto in cui teniamo le riserve del magazzino. Sembra una cosa che avrebbe potuto immaginare Lewis Carroll, se Alice fosse caduta nella tana di un coniglio e dentro la fantasia di un amante dei libri. Cripte con pesanti porte di metallo che si aprono su altre cripte, e ognuna è piena di libri. C’è qualcosa di romantico e meraviglioso e assolutamente all’antica, in questo: denaro sostituito da letteratura, bancari frenetici sostituiti da librai frenetici, la sterilità dei numeri sostituita dalla sregolatezza delle parole.

Sono finita a fare questo lavoro nello stesso modo in cui mi innamoro sempre – per caso. Avevo bisogno di un’entrata per pagare l’affitto durante l’ultimo anno di università, quindi ho presentato un curriculum al proprietario, il signor Munro, e gli ho parlato. Credo mi abbia assunto in parte perché aveva trovato divertente il mio curriculum (la mia lista degli obiettivi raggiunti includeva riempire un cono con la paletta da gelato in un posto chiamato Wonderlicks, ed essere licenziata dal lavoro di barista perché non prendevo l’«arte del caffè» con sufficiente serietà).
Il primo giorno, mi hanno dato le chiavi del negozio, insegnato la combinazione della cassaforte, e mi è stato detto di chiamare il signor Munro per nome. È venuto fuori che Jim è un uomo estremamente gentile, fiducioso e generoso. Essere assunta da lui significa essere immediatamente accolta nella sua famiglia. Gestisce un negozio indipendente, alla vecchia maniera, il tipo di posto che i megastore e internet non saranno mai in grado di sostituire, anche se ci provano spesso. È il tipo di posto dove gli impiegati restano a lavorare per decenni. Un commesso si presenta addirittura come Steve di Munro’s, come se il negozio fosse la città da dove viene.
Non vorrei farlo sembrare come un pezzo da museo, dal momento che Munro’s è un negozio che produce guadagni. Non vorrei nemmeno dipingere romanticamente il mestiere. Un lavoro è un lavoro, dopotutto, e chiunque abbia lavorato in un negozio durante il periodo natalizio sa che fare il commesso può essere il proprio inferno personale. E sebbene sia uno dei migliori mestieri che possa immaginare, una libreria può terrorizzare uno scrittore. Basta il semplice numero dei libri a rendermi nervosa e farmi sentire superflua. I classici, i gialli, le storie d’amore, i saggi, i libri di storia, la poesia – arrivano scatole su scatole di novità e tascabili. Poi, un anno dopo o giù di lì, molti vengono rispediti invenduti all’editore, per restare in giacenza o essere mandati al macero. È materiale per incubi da scrittori. Dopo aver affrontato un fatto del genere nella realtà, è difficile per me convincermi che il mondo abbia bisogno di un altro libro, soprattutto di un mio libro. Perché prendermi il disturbo?, penso spesso mentre attacco l’etichetta sull’ultimo appassionante libro su un vampiro drogato di shopping, o l’ultimo romanzo battezzato come «un trionfo, pieno di caustica saggezza». Questi sono i momenti in cui la libraia che è in me entra in conflitto con la scrittrice. Perché ti alzi la mattina? Chiede. Che senso ha?

Se la libreria mi costringe a pormi queste domande, fornisce anche le risposte appropriate. La più ovvia, ho ammirato i libri che ho preso in prestito o comprato da Munro’s e hanno ispirato la mia scrittura. Lavorando in mezzo agli scaffali, ho scoperto Aleksandar Hemon, Miriam Toews, David Sedaris, Jack Gilbert, Miranda July, David Grossman, Lewis Hyde, Shalom Auslander, e Anaïs Nin. Ho scoperto Prima che sia notte e Il nostro agente all’Avana, Revolutionary road e Morte a Venezia. La bellezza di una libreria – un posto fisico, con libri fisicamente presenti dentro – è che permette alle persone di vagare, scegliere un libro, tenerlo in mano, leggere qualche frase e dire a se stessi, Ecco.
Ma Munro’s ha fatto per me più che farmi incontrare i libri. Mi ha anche fatto incontrare i lettori. Intendo, ovviamente, i miei colleghi, una famiglia deliziosa ed eccentrica. Hanno dedicato anni delle loro vite alla vendita dei libri, e non perché lo stipendio sia buono. Molti di loro comprano ogni anno il loro peso in libri. Leggono di tutto: romanzi rosa, resoconti di viaggio, fantasy, libri di filosofia, graphic novel.
E non sono solo i commessi che restano legati a Munro’s per decenni; anche molti clienti diventano parte della famiglia. Ci sono galleristi che comprano così tanti libri d’arte che gli abbiamo aperto un conto. C’è la signora Gupta, che ha ordinato credo tutti i libri sull’induismo che siano mai stati stampati, e che – come fossimo i suoi nipoti – pesca dalla sua borsa caramelle Werther Originals da regalarci. C’è Jamie, che ordina biografie di Charlie Chaplin e Margaret Thatcher e Grace Kelly, ma può ritirarle solo un giorno al mese, quando gli arriva il sussidio di invalidità. Come se fossero gattini in un negozio di animali, viene quasi ogni giorno a far visita ai suoi libri. Li prende, li sfoglia, dice «Guarda qua. È bellissimo». E c’è il signor Anderson, un uomo sulla settantina che ordina romanzi rosa. Ne compra a dozzine. Nora Roberts, Cynthia Harrod-Eagles, Lisa Kleypas, Maeve Binchy, Julia London. Vuole storie romantiche, non erotiche, anche se non gli dà fastidio essere stuzzicato. «Non mi dispiacciono un po’ di carezze e sbaciucchiamenti» dice.
Il mio cliente preferito è Michael. Ha i capelli lunghi, indossa una giacca di pelle, e uno dei suoi stivali ha uno sperone. Quando entra nel negozio, puoi distinguere lo scalpiccio dei suoi tacchi da ogni altro passo. È educato e ha una voce morbida, ed è identico a Keith Richards. Vive in un motel fuori dall’autostrada, ma una volta l’ho incrociato in strada col cappello in mano, che chiedeva monete. Se non lavorassi da Munro’s, non avrei mai indovinato che spende così tanti soldi in libri. Non avrei mai immaginato che ascolta programmi di letteratura alla radio, o che legge di tutto, da Proust a L’arcobaleno della gravità a An Irish Country Doctor.
Queste persone – i commessi, e i clienti che rendono possibile il loro lavoro – sono diverse dal tipo di lettore che sono diventata io all’università, dove a volte i libri sono chiamati «testi» e vengono letti perché sono femministi, o marxisti, o marxisti-femministi.
Sono diverse dagli scrittori che conosco – inclusa me stessa – che non riescono a leggere senza tenere un occhio sul come, sul mestiere, sul modo in cui l’autore raggiunge il suo obiettivo. Le persone che ho conosciuto da Munro’s sono lettori, e mi risulta che la maggior parte degli scrittori non abbiano molte occasioni di conoscerli, se non nei loro tour di presentazione. Io ho la fortuna di incontrare lettori quasi ogni giorno, e ho imparato che sono intelligenti e hanno delle aspettative. Raramente sono snob, però sono sempre esigenti. Leggono in un modo profondo, onesto, e con impegno. Leggono per conoscere o per evadere o per entrambi i motivi. E sono una parte essenziale della risposta a quella domanda – Che senso ha?

Sarebbe impossibile tenere separate le due me anche se volessi. E sarebbe impreciso lasciar intendere che «scrittrice» e «libraia» sono gli unici ruoli che interpreto, gli unici aspetti della mia personalità. Ma quotidianamente sono le mie identità principali. E, fino a poco tempo fa, sono rimaste abbastanza separate – una resta a casa e si comporta come una pessima casalinga, l’altra va al lavoro e paga le bollette. Poi, nell’ultimo anno, sono entrate in collisione.
Svanire è stato pubblicato in Canada lo scorso maggio. Mi piacerebbe dire che quello in cui è uscito sia stato il più bel giorno della mia vita, ma è stato abbastanza simile agli altri. Sono andata al lavoro alla libreria. Il mio libro è stato messo sugli scaffali tra gli altri libri – Il Grande Gatsby, La versione di Barney, Cosa sta cercando di dirti la tua cacca. Vederlo lì, con la sua bella copertina e la consistenza delle sue 288 pagine, mi ha reso felice e agitata. È stato come guardare qualcosa che nasce, realizzando nello stesso momento che è anche morta.
Tenendo fede alla sua inesauribile generosità, il mio capo alla libreria ha organizzato una festa per il lancio del libro così grande ed elaborata che mi sembrava il giorno delle mie nozze. I miei colleghi si sono ubriacati di champagne. Io me ne andavo da una parte all’altra nel mio vestito, emozionata e brilla, una perfetta Signora Dalloway. I miei amici e la mia famiglia hanno comprato copie del libro e io le ho firmate, proprio come un vero autore. Una delle mie colleghe, una donna intelligente e acuta le cui conoscenze includono la versione francese di Vogue, la chiesa Anglicana, e le proprietà mistiche delle pietre preziose, mi ha letto l’interpretazione numerologica dell’ISBN del mio libro.
«Questo è un buon numero.» Mi ha dato uno sguardo lungo e significativo. «Ha un’energia positiva.»
Ma solo qualche giorno più tardi ho capito che la me libraia e la me scrittrice avrebbero dovuto diventare amiche. Non l’ho capito fino a quando, in piedi dietro la cassa, dietro quel bancone di marmo, non ho venduto una copia del mio libro.
Credo fosse un giovedì, perché stavo facendo l’ultimo turno. Una donna ha portato il mio libro al bancone e ha cominciato a pescare nella sua borsa. Non l’avevo riconosciuta, ma mi sembrava di averla vista da qualche parte. A una lezione di danza? Al supermercato? Dal dentista? Forse lì. Forse era la mia igienista dentale.
«Salve» ho detto con la mia voce entusiasta da commessa. «Come sta oggi?»
«Bene» mi ha dato la sua Visa senza guardarmi, e io ho passato alla cassa il suo acquisto.
Se scrivere e pubblicare libri rischia di farmi diventare esageratamente concentrata su me stessa, vendere qualsiasi cosa – libri o ciambelle o mobili – dev’essere la cura. È un esercizio di umiltà e autorimozione chiedere, ancora e ancora, con quel misto di sollecitudine e noncuranza «Vuole una busta per il suo acquisto?»
«Sì, grazie.» La donna non era particolarmente amichevole, e iniziavo a dubitare che fosse la mia igienista dentale.
Le ho passato la ricevuta e le ho detto «Grazie», lei ha risposto «Grazie a lei» e io – tipico dei canadesi – ho risposto «Grazie a lei».
Poi ha preso il libro, per il quale a questo punto aveva pagato, e che quindi non apparteneva più a me. Presa dal desiderio di trattenerlo, di tenermi vicino il mio bambino, le ho detto «Vuole che glielo firmi?»
«Cosa?»
«Vuole che le firmi il libro?»
Per la prima volta, mi ha guardato. Mi ha sorriso, ma non con gli occhi. «E perché dovrei volere il suo nome sul mio libro?»
Avrei potuto abbracciarla. Avrei potuto baciarla in bocca. Perché questa donna non era per niente la mia igienista dentale. Questa donna era un’estranea. A differenza dei miei amici, e dei miei genitori, e degli amici dei miei genitori, e del mio ex ragazzo, e dei miei colleghi, e delle mie zie e dei miei zii – fan davvero leali! – questa donna non doveva comprare il mio libro. Forse l’aveva visto sullo scaffale e semplicemente aveva pensato che sembrasse interessante.
Sono diventata rossa, come una bambina stupida e felice. «Sono l’autrice» ho detto.
Lei ha inarcato un sopracciglio. Mi ha guardato in modo così scettico che persino io ho dubitato. Mi sono data uno sguardo come per controllare, per essere sicura che fossi la persona che dichiaravo di essere. «Quando non sono qui» ho detto, le mie due identità che si fondevano per un momento, «scrivo storie.»
 
The Double Life by Deborah Willis. Copyright © 2010, Deborah Willis, used by permission of The Wylie Agency (UK) Limited.

La traduttrice
Serena Patrignanelli è nata a Roma nel 1985. Si è diplomata alla Scuola Holden di Torino e poi è tornata a Roma, dove lavora come ricercatrice video per Rai Scuola. Ha scritto lungometraggi mai distribuiti, cortometraggi molto carini e una web serie per Rai Fiction, che uscirà tra pochissimo e si chiama AUS.

Questo articolo è stato pubblicato in numero 18. Bookmark the link permanente. Scrivi un commento o lascia un trackback: Trackback URL.

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