Addio, Monti

Autore: Michele Masneri
Casa editrice: minimum Fax
Pagine: 167

Leggendo Addio, Monti il riferimento all’ultimo film di Sorrentino è immediato, inevitabile, fin dalla copertina con terrazza romana di marca Scola-Sorrentino, e fin dalle prime pagine, dato che il vero protagonista è Monti, inteso non come Mario ma come quartiere della capitale; elencare i punti di contatto fra il romanzo in questione e la pellicola è un esercizio obbligatorio, ma allo stesso tempo stucchevole, e ne è consapevole lo stesso Masneri che mette subito le mani avanti dichiarando che il suo libro è stato scritto diversi anni prima, quando a esser noto non era ancora L’apparato umano, ma Cafonal.
Ma di cosa parla esattamente il romanzo di Masneri? La risposta richiede impegno e l’opera assomiglia molto a una fotografia esatta di certo ambiente romano, modificata però con uso sapiente di Photoshop.
La storia è quasi assente, e così anche il protagonista, dato che a stagliarsi come il Cupolone sul panorama capitolino è la raffigurazione, allo stesso tempo fedele e letteraria, di un mondo in cui si muove una fauna variegata fatta di immobiliaristi, protagonisti falliti del tubo catodico, ghost writer di editorialisti di vaglia, marchettari non si capisce se più per passione, per sacrificio, o per ascesa sociale.

Risulta vano qualsiasi tentativo di messa a fuoco dell’impianto del libro, cosicché la domanda a fine lettura sorge implacabile: cosa si è letto? Un reportage letterario su Roma? Un romanzo con la capitale come unica protagonista e tanti personaggi secondari di contorno? Un elenco di pettegolezzi? Un’affollata galleria del tessuto sociale romano?
Forse una chiave di lettura utile può essere quella di farsi trascinare dal ritmo del libro senza chiedersi dove e come saranno tirate le fila, senza cercare di orientarsi nella storia.
I riferimenti dell’autore sembrano numerosi: si sentono echi di Arbasino nella registrazione e raffigurazione di chi gioca a essere più intellettuale del prossimo, ma anche di Gadda, soprattutto nella tecnica dell’accumulo più volte utilizzata («una libreria piena di ogni ben di dio: molti Bruno Vespa, con dedica; un Rolly Marchi d’epoca, La cucina delle Dolomiti di Anneliese Kompatscher, tutto Bruce Chatwin in copertine Adelphi bruciate dal sole – letture in Tofana? o in concessionaria? –, libri di gioielli, una biografia di Soraya, Il prete bello, libri antichi; antichi numeri di AD; Le ceramiche di Gianni Versace, La mia ginnastica di Jane Fonda, Saviano, Dove andiamo a ballare questa sera? di Gianni De Michelis, con prefazione di Gerry Scotti e dedica.»), così come sono tanti i riferimenti anche non strettamente letterari, che valicano i generi: la tv spazzatura, il web, il giornalismo (MicroMega, Limes, e La Repubblica vengono più volte citati in chiave ironica), tanto da risolversi in un discutere di tutto per parlare di nulla.

La bravura di Masneri è nella sapienza con cui riesce a reggere il ritmo, nel suo sguardo ferocemente sarcastico, nell’aver ricreato l’immagine del fatuo imperante. Allo stesso tempo, però, la scrittura, così indiscutibilmente vivace, rimane schiava della sua rappresentazione, come se il vuoto pneumatico raccontato dall’autore diventasse una tempesta di sabbia che ci nasconde tutto il resto.
Il rischio dunque è che oltre a questa lucida e al contempo distorta cronaca di mondanità, oltre al sorriso amaro e al giudizio negativo nei confronti dei personaggi raccontati, al lettore rimanga poco altro (se non la curiosità di conoscere se l’inventiva di Masneri sia tale anche al di fuori dell’ambiente che tratteggia).

 Giuseppe Rizza

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