Hanno tutti ragione

Tony Pagoda ha quintali di passato alle spalle. Cantante melodico napoletano, prototipo del crooner da night club, ha suonato davanti a un alticcio Frank Sinatra (capace di regalargli la massima «Il successo sta sul cesso») e in piazze di provincia, passando con indifferenza dall’uno alle altre.
Gli anni Ottanta gli hanno regalato camerini pieni di madri e casalinghe adoranti, cocaina, puttane di ogni etnia, incroci pericolosi con camorristi appassionati di musica napoletana, la spossante inedia di pomeriggi trascorsi a occhieggiare le turiste con gli amici nella piazzetta di Capri. Eccessi che si fanno consuetudine. Quando questa vita comincia a calzare male, una tournée in Brasile diventa l’occasione per lasciare che il passato, anche quello tormentato, riaffiori con naturalezza, con la stessa calma che regola certe giornate sudamericane. Vent’anni in Brasile a combattere scarafaggi e umidità, ora solo, ora con Alberto Ratto, ineffabile esule con segreti più grandi dei suoi. Ma tornerà in Italia, Tony, cedendo alle lusinghe di un potente molto attuale e alla voglia di ritrovarsi a casa.
L’opera prima di Sorrentino riprende un personaggio che già aveva battezzato il suo esordio al lungometraggio, quel Tony Pagoda (lì Pisapia) reso indimenticabile sullo schermo da Servillo. E qui il protagonista si fa romanzo, incarna l’essenza stessa del racconto, con soliloqui, riflessioni sparse su ogni argomento, giudizi e (auto)analisi. Il tutto in un napoletano ripulito, un italiano grasso e baroccheggiante che del dialetto conserva la «struttura». I toni dall’ironico virano decisamente al grottesco, nella pretesa di raccontare, sullo sfondo, un’Italia abbruttita oggi come allora (con una preferenza per quella di trenta anni fa, sì caciarona, ma più ingenua?), dagli anni di piombo (il personaggio di Alberto Ratto è un faccendiere da Prima Repubblica) alla camorra, fino al «berlusconismo». Tony, maestro di vita e dottore in nulla, uno di quelli che puoi ascoltare farneticare sulle tv locali a tarda notte, affronta la vita con noncurante opportunismo.
Il viaggio e la permanenza di Tony in Brasile diventano occasione di guardare con meno distacco al passato, di mettere a fuoco da una prospettiva migliore i volti, le persone e l’unico amore di una vita, quello a cui è legato il più terribile dei segreti; una dimensione catartica che porta all’assoluzione, forse apparente, sicuramente parziale, perché di compromessi Tony ne farà altri tornato in Italia; o forse no, non cambia nulla, tutto continua a scorrergli davanti, proprio come prima. Non si sta bene da nessuna parte, che sia la Napoli degli anni Ottanta, l’umida Manaus o la Roma di oggi, ma tutto sommato si sopravvive ovunque. Così come il Supertramp di Krakauer fugge dalla società civilizzata per cercare la solitudine nella natura, così Tony riscopre l’importanza dei rapporti umani (o è più la mancanza della cocaina?) proprio nell’esilio sudamericano.
È un libro da prendere così, con le sue imperfezioni (la scelta di delegare la narrazione alla voce confusa del protagonista finisce per spezzettare la trama) e il suo pregio più grande: la sincerità con cui è scritto. Sorrentino sembra amare molto, forse troppo, il suo protagonista e quest’umanità straziante e sghemba.
Lorenzo Gramatica
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