Dio giocava a pallone

Autore: Giorgio Ghiotti
Casa editrice: Nottetempo
Pagine: 166

È l’annus horribilis 1929 e si dà alle stampe Gli indifferenti, scritto dall’esordiente Alberto Pincherle all’età di diciotto anni.
È l’annus horribilis 2013 e un esordiente diciottenne Giorgio Ghiotti pubblica Dio giocava a pallone.
Se quello di Moravia era un romanzo di ambientazione borghese, il libro di Ghiotti è invece composto da una serie di racconti dove il tratto comune dei vari personaggi sembra essere la difficoltà di comprendere pienamente se stessi.
È una ricerca che spesso passa attraverso l’amore (omo ed etero), e che indipendentemente dall’età dei personaggi (non solo adolescenti, ma anche donne adulte) viene raccontata tramite una scrittura giovanilistica, che pare influenzare le loro azioni; sembra infatti che pure chi ha più di vent’anni pensi e agisca come un post-adolescente («se è vero che l’amore brucia per sempre, non moriremo mai»).

Nel primo racconto, che si svolge durante tre giorni estivi in cui le case dei giovani protagonisti sono lasciate vuote dai rispettivi genitori, un ragazzo è tormentato dal dilemma di continuare la recente relazione con la fidanzata (che tenta di fare sesso con lui approfittando della sordità della nonna istupidita dall’alto volume con cui guarda la tv) o di manifestare l’attrazione nei confronti dell’amico comune della coppia.
In Cinque dove il numero in questione ritorna di frequente –, per guadagnare fiducia agli occhi della severa assistente sociale, che potrebbe negarle l’affido del figlio, una mamma cerca un nuovo lavoro dopo essere stata licenziata dal negozio in cui faceva la commessa.

I personaggi di Dio giocava a pallone sembrano mossi dal sentimento, un’innocenza sentimentale che a tratti si colora d’ingenuità fino a sfociare nella mancanza del lieto fine. Al centro della raccolta c’è il tentativo, da parte dei protagonisti, di trovare un proprio posto nel mondo. Ghiotti si concentra così sulle dinamiche fra i personaggi, indaga le loro vite dall’interno. Ma se riesce a delineare con efficacia i desideri e le aspirazioni dei suoi coetanei, risulta meno convincente quando si cala nei panni di adulti, a cui non sempre dà voce in un modo che non appaia artefatto.

C’è poi un racconto che si distacca da questa linea: E. Qui Ghiotti gioca a citare vari scrittori, si rivolge direttamente al lettore e chiama se stesso in causa in qualità di narratore («Di sicuro Lettore penserai che è solo un elenco di nomi dei quali non sa nulla neanche il narratore»): un esperimento metaletterario che rischia di risultare fine a se stesso.

L’impressione finale è quella di un’opera ancora non del tutto matura, a tratti ingenua, di quell’ingenuità innocente di chi è appena guarito dall’adolescenza.

Giuseppe Rizza

 

 

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