La conta delle lentiggini

Autore: Flavia Ganzenua
Casa editrice: Caratteri mobili
Pagine: 72

Leggendo i racconti di Flavia Ganzenua ciò che viene subito in mente è il potere evocativo della sua scrittura. L’impressione è che agisca per sottrazione, spremendo le parole fino all’osso, riducendole all’essenziale e forse anche meno. Il senso non è sempre immediato e, anzi, chi legge ha il compito non facile di trovare la compiutezza con i pochi elementi che ha a disposizione.
Si tratta di racconti brevi, minimi (da segnalare la cura dell’edizione Caratteri Mobili, con la bellissima copertina che ricorda molto il tratto de Il gusto del cloro di Bastien Vivès), alcuni sono quasi un abbozzo, e non sempre si capisce se per scelta stilistica o se per mancanza di un’opera di editing più efficace.

C’è una bambina di sette anni che fa pratica di cattiverie,  una storia su dei pesci rossi che sembrano l’unica possibilità di scampo di una coppia, ci sono due donne che si ricongiungono grazie a un rapimento da un ospedale, un ragazzo che si dà alla fuga, un bambino alle prese con il limite del cancello della sua scuola, e il racconto iniziale – che dà il nome all’intera raccolta –, emblematico nel suo essere evocativo.
Fin dall’inizio, infatti, vengono seminati simboli che ricorreranno anche nelle storie seguenti: cicatrici, mani, schiene, una carnalità malata e per niente rassicurante (né l’autrice, giustamente, ha interesse a fornirci alcun tipo di rassicurazione), che riaffiora come segno di confine, o come un conto che non torna. Qualcosa che c’è, poi scompare, per infine riapparire da un’altra parte.

Ed è proprio questo intricato mucchio di linee, segni, smagliature non solo fisiche, uno dei tratti distintivi della scrittura dell’autrice, insieme a una fitta rete di scene dove l’amore (e il sesso, superbamente accennato)  non viene mai interamente esaudito.
Personaggi – come la protagonista del primo racconto, che  con la sua cicatrice di frontiera ricorda il lungo e sottile tatuaggio del personaggio interpretato da Alba Rohrwacher nel recente Via Castellana Bandiera –  a cui non si fa in tempo ad abituarsi, che lasciano una traccia che sgocciola e ha bisogno di essere decifrata.

La qualità della scrittura di Flavia Ganzenua risulta proprio da questo fascino misterioso delle sue parole. Allo stesso tempo, però, la coraggiosa scelta stilistica porta a un ulteriore sforzo di comprensione.
Come se l’autrice chiamasse a raccolta le parole e non tutte poi rispondessero all’appello.
Come se quelle parole fossero le lucertole che, sottratte della loro coda, si dibattono alla ricerca di un senso.

Giuseppe Rizza

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