Bruno
di Alessandro Romeo

Sono il ciccione che balla ai concerti. Quello che sa tutti i testi delle canzoni a memoria e che balla come se fosse chiuso in una stanza e nessuno lo vedesse. Se la canzone dice magic flower unisco le mani davanti agli occhi e poi le apro a fiore, sopra la testa. Oppure se la canzone dice feel yourself mi accarezzo tutto il torace e la testa. Oppure se dice give me your hands allungo le braccia verso il cantante e muovo le mani come fossero delle piccole alette.
A ventidue anni ho iniziato a usare “ciupaz” come intercalare. Non so da dove sia venuto fuori. La prima volta che l’ho utilizzato volevo dire qualche altra cosa che non ricordo. Gli amici mi hanno fatto il verso e per un po’ di tempo l’hanno anche usato come soprannome, poi la cosa ha cominciato a vivere di vita propria. “Ciupaz” ora vuol dire tutto e niente. Per esempio vuol dire figata, dai, sicuro, cazzo, mi raccomando, stai tranquillo, muoviti, niente di fatto.
Quando esco di casa porto sempre una cosa con me: il portafoglio dell’oratorio Santa Giulia. Ho passato un mucchio di pomeriggi all’oratorio, quando ero piccolo. Ci si trovava subito dopo pranzo per giocare a basket. Quando si facevano le squadre venivo sempre scelto per ultimo e sempre dalla squadra più forte. A metà partita i miei compagni di squadra mi avevano messo addosso una tale ansia da prestazione che preferivo fingermi stanco e smettere di giocare. Mi mettevo per terra a quattro zampe, mi battevo il petto un paio di volte e poi sputavo. Oppure dicevo di avere male ad una gamba, un male improvviso, insopportabile e mi accasciavo a terra tenendomi la gamba stretta tra le mani. All’oratorio c’era un prete che fumava nascosto dietro una colonna. Era un prete simpatico e gli volevo bene. A lui dedico la canzone che adesso vi canto (l’ho scritta prima).
Na na na you were my friend, na na na all the differences between us, na na na your youth, was mine too.
Sono cresciuto piuttosto svaccato, cacchio. Non sono riuscito a finire l’università, andavo avanti a fatica ed ero già fuori corso di quasi tre anni quando è successo quel che è successo.
Anche se ho ventotto anni non mi preoccupo minimamente di quello che farò in futuro. Passo un mucchio di tempo a casa e, quando voglio uscire, vado ai concerti. Mi piace cercare i gruppi della zona e seguirli dal vivo in giro per tutta la città e la provincia.
Per esempio tu conosci i Best Fire? Fanno una cosa assurda, campionano tutto quello che sentono e dal vivo giocano a ricomporre tutti i suoni improvvisando sul palco. Con loro c’è anche una ragazza, si chiama Chiara De Molina, che intona delle melodie su quelle basi. È bravissima e bellissima, e mi manda fuori di testa. Ha una voce fantastica, dovresti sentirla! Io sono innamorato di lei e qualche volta glielo urlo mentre canta. Ti amo, ti amo, ti amo! Una volta, per sbaglio, volevo urlare il suo nome tra una canzone e l’altra e invece, proprio alla fine degli applausi, ho urlato “mamma” e tutti si sono girati a guardarmi. A volte succede che vuoi urlare una cosa, ma ci pensi troppo, e allora finisci col dire una cosa che non c’entra niente. Una volta ho passato mezzo concerto a far finta di cercare delle cose nelle tasche, invece me lo stavo toccando alla grande, proprio di fronte a lei che cantava con la bocca spalancata. Comunque ti sei scritto il suo nome su un foglio? Chiara De Molina.
Poi ci sono i Tetra Punk, che fanno appunto punk, ma ci hanno messo dentro anche dell’elettronica e uno di loro suona la tromba. Ma comunque… comunque… Dicevo, comunque il mio gruppo preferito sono i Locatest che fanno una specie di folk psichedelico che mi manda veramente via. C’è una loro canzone che è un capolavoro: inizia con un peeen ta-na peeen di chitarra e tu pensi che sia solo un’intro invece continua ipnotico per tutta la canzone, peeen ta-na peeen e poi si mettono a cantare in coro tutti e quattro i componenti del gruppo, e poi entra la batteria stranissima e rimangono solo le voci femminili a seguire il peeen ta-na peeen della chitarra mentre quelle maschili entrano dopo un po’ con una specie di cantilena veloce, ciupaz, ragazzi, ciupaz!
Poi c’è una marea di altri gruppi che conosco, però mi sa che non li hai mai sentiti nominare. Tipo Sad & Majestic, Gaetana parla male, Fosforama, Replicants, LKD, Mr. Wallace, Tupelo, Lilly’s Dramatic Pencils, Fucina Tropicane e Bomba Fortuna. Ma gli ultimi due li ho inventati io adesso.
Scherzone.

Gesso e Fede, posso dirlo senza riserve, sono i miei migliori amici: ci siamo conosciuti circa tre anni fa e fino a quella brutta serata in cui è successo quel che è successo ci vedevamo quasi tutti i giorni.
Prima che ti racconti tutto, devi sapere che Fede è un personaggio strano, sia a livello fisico che come carattere. È secco secco, con i capelli biondo chiaro tagliati come un chierichetto, gli occhi chiari, la bocca invisibile, tutte le vene in evidenza. Alle feste organizzate da altri di solito combina sempre un gran casino, beve solo vodka liscia, spesso finisce a menare qualcuno ma raramente le prende, perché anche se è magro ha una forza assurda. Alle feste organizzate da lui, invece, le cose vanno diversamente: compra da bere per tutti, spesso fa pure da mangiare ed è ospitale da far paura, solo che poi, quando tutti gli ospiti sono arrivati, saluta e va in camera sua. A chi gli fa notare che è un comportamento strano, lui risponde che al suo paese si fa così. È una buona scusa perché tutti quelli che non lo conoscono pensano, per via dei capelli, che sia russo o ceco o slavo e non insistono, un po’ per rispetto e un po’ per paura. Invece è di Spinetta Marengo, in Piemonte. Nel corso degli anni ha affinato sempre di più la tecnica: ora gli invitati che non lo conoscono evitano direttamente di parlargli e in questo modo può ritirarsi come Dracula, mostrando i canini. Che non era russo per niente, Dracula, però rende bene l’idea. Qualche tempo fa ho saputo che in certi giri lo chiamano da tempo “Il russo”, o “Fedor”, o “Viggo”, in onore a Viggo Mortensen cui in effetti assomiglia molto, però nemmeno Viggo Mortensen è russo per niente.
Sta di fatto che una sera Fede dà una festa a casa sua e come al solito i presenti sono molti di più degli invitati. All’epoca lui e Gesso non si conoscevano ancora e a quella festa Gesso era uno degli imbucati. Gesso che, in men che non si dica, aveva puntato una tipa budella davvero. La fase del corteggiamento era durata poco più di un’ora, il tempo di riempirle il bicchiere un paio di volte con dello spumante e di assecondarla quanto basta per farla sentire importante. Nel frattempo Fede aveva riempito due insalatiere di Bloody Mary e di Gin Lemon, preparato un vaso di pasta pomodoro mozzarella basilico e paprika – dico per dire, io mica c’ero – e svariate ciotole di cazzate tipo patatine. Aveva preso da parte uno sfigatino a caso e gli aveva spiegato dove fossero i sacchetti, dove fosse il cesso, dove le coperte e i sacchi a pelo per chi si fermava a dormire, poi l’aveva guardato dritto negli occhi per un minuto come a dire “se sgarri ti estraggo il cuore dal culo” e si era chiuso in camera a giocare a scacchi online con me. Perché dovete sapere che all’epoca io e Fede non ci conoscevamo mica di persona, ma solo online per via degli scacchi. Avevamo l’appuntamento fisso il giovedì. In ogni caso, nemmeno il tempo di darmi in pasto qualche pedone e di cominciare a lavorare di alfieri e cavalli, che qualcuno gli bussa e da uno spiraglio spunta la faccia di Gesso con un sorriso gigantesco e gli occhi buoni e lustri. Una faccia da topo Gigio al gusto di fragola.
Ma cosa ho detto?!
Ora, per farti capire che tipo è Gesso, ti basta sapere che al funerale di suo padre è arrivato in rollerblade ed è stato in rollerblade per tutta la cerimonia.
A quanto racconta Fede si sono guardati per qualche istante: sarebbe stato Gesso il primo a parlare, dicendo una cosa del tipo: “Senti, scusa se ti disturbo, ma non è che hai una camera libera, basta anche un ripostiglio. È che al cesso c’è la coda, e ho visto che non hai terrazze. Cioè, può sembrare che io ti stia chiedendo di lasciarmi la tua camera, ma non è cosi. Il fatto è che non so come è fatta questa casa e magari dopo la tua camera ci sono altre camere, tipo le case dei patrizi romani che non finiscono mai… Vedi, c’è una tipa che sembra ben intenzionata nei miei confronti. Capisci cosa voglio dire?”.
E Fede ha detto: “Uznicje riznicje uzni razni da”.
E Gesso ha detto: “Dai, cazzo, so che non sei russo! Ti prego”.
E Fede ha detto: “Qual è?”.
E Gesso ha detto: “Treccia raccolta e zoccoletti”.
E Fede ha detto: “Prestigio”.
E Gesso ha detto: “Già”.
E Fede ha detto: “Ho un bagno qui in camera, io mi chiudo lì dentro, tu fai veloce”.
E Gesso ha detto: “Grazie, cazzo! Ehi senti, sono in debito, ok?”.
(Roba da film, insomma. Anche perché in effetti c’è un film in cui succede una cosa praticamente identica. E poi forse le cose non sono andate esattamente come te le sto raccontando, magari sto facendo un po’ di confusione proprio con quel film. Faccio sempre un po’ di confusione. Comunque cazzo, mi gasa troppo raccontare questa storia!).
Insomma nemmeno il tempo di finire la frase che Fede era già sparito nell’oscurità, aveva chiuso il portatile con un mezzo pugno e si era infilato nel cesso. Mentre Gesso e la tipa ci davano dentro nell’altra stanza lui si è lavato i denti, e poi si è disteso in vasca da bagno con tutti i vestiti, al buio, ad aspettare. Ad un certo punto la porta del bagno si apre, Gesso entra e accende la luce tenendo un indice davanti alle labbra, come a dire “fai silenzio”.
“Come è andata?”.
“Bene, senti ho pensato a come sdebitarmi. Di là è tutto buio e lei sta sonnecchiando sul tuo letto”.
“E allora?”.
“Allora tu adesso vai di là, al buio e te la fai, facendo finta di essere me”.
“Ma scherzi?”.
“Ascolta. Io le ho detto che andavo in bagno a darmi una rinfrescata, lei non sa che qui ci sei tu. Le ho raccontato la storia delle case dei patrizi romani. Tu vai di là, te la fai, poi torni di qua con la stessa scusa e siamo a posto”.
“Come è?”.
“Si depila”.
“Cazzo”.
“Un’albicocca”.
“Senti, ok. Però tu non lo racconti a nessuno!”.
“D’accordo. Bene. Ora baciami”.
“…”.
“Dai, devi sapere di alcol e sigarette come me. Baciami”.
“Vammi a prendere della vodka”.
“È un casino. Ci scopre”.
“Facciamo che siamo a posto così, ti ho fatto un favore e tu ti ricorderai di me come di una persona buona, ok?”.
“Hai dello sciroppo omeopatico?”.

La cosa era finita con due sorsi di sciroppo omeopatico e una sigaretta fatta con la carta igienica e un po’ di pout pourri.
In realtà non sono mai riuscito a capire se la tipa ci è cascata veramente oppure no, anche perché quando provo a indagare Fede mi ricorda l’altro aspetto straordinariamente divertente di questa storia e cioè che nel frattempo, vedendo che Fede non muoveva, io avevo cominciato a bombardarlo di messaggi nella chat degli scacchi. Gli avevo scritto: “muoviti birbone”, “muoviti pelandrone”, “muoviti caccamerda”, “tocca a te pirletta”, “muoviti ladro bastardo”, “sei fuffa da poco” e via così, come piace a me. Uah-ah, ciupaz!

Comunque la storia che ti voglio raccontare è un’altra: tutto è successo una sera dopo un concerto.
Eravamo andati all’OnOff a vedere i TranSilvana. Io non avevo mai ascoltato niente di loro e neppure i miei amici. A loro, anzi, il concerto non interessava per niente, e infatti non saprei dire che cosa ci facessimo lì. Sta di fatto che eravamo in quattro: io, Gesso, Fede e un tipo che non conoscevo, e che gli altri chiamavano Fuz.
Fuz era finlandese. L’ho scoperto durante la serata, quando gli altri ci hanno lasciati da soli per andare a prendere da bere e io ho cominciato a parlare del cd dei Replicants che avevo ascoltato nel pomeriggio. Lo potevi ascoltare dal loro sito, dicevo a Fuz: lo potevi ascoltare ma non scaricare, come se non esistessero programmi per registrare direttamente dal computer, dicevo. Io, dicevo, non ho mai capito quelli che fanno così. E poi ho parlato di un mucchio di altre cose e alla fine mi sono reso conto che aveva l’espressione di uno che non stava capendo niente. Il concerto doveva ancora iniziare e avevano messo su della musica a volume altissimo: pensavo fosse quella la causa. Allora ho ricominciato il discorso da capo urlando, ma lui si è messo a ridere e mi ha spiegato che era finlandese.
Quando Gesso e Fede sono tornati con la roba da bere, sul palco si è presentato il batterista dei TranSilvana da solo, e ha fatto partire un assolo di batteria. Io allora ho afferrato il mio bicchiere e sono corso sotto il palco a ballare. I TranSilvana sono saliti sul palco uno alla volta, inserendosi sull’assolo di batteria. Prima il cantante, poi il bassista e alla fine il chitarrista. Non sapevo le parole però facevo finta di saperle e cantavo cose a caso. Ho fatto il gesto del fiore moltissime volte, e poi quello delle mani, e anche quello del sole-dentro. Il gesto del sole-dentro consiste nell’afferrare la maglietta a livello del torace, con entrambe le mani, e poi nello stropicciarla a lungo, con un movimento del bacino piuttosto sexy.
Mi pigliavano bene, i TranSilvana. Il cantante ci sapeva fare col pubblico, scherzava, faceva battute ed è stato al gioco quando due tipe sono salite sul palco per ballare attorno a lui. Hanno suonato per quasi due ore, buttandoci dentro anche tre cover dei Vaselines, una dei Magnetic Fields e una di Dylan. No, due dei Vaselines, tre dei Magnetic Fields e due di Dylan. No, aspetta, una di Dylan, avevo detto giusto. Una.
Quando sono tornato dai miei amici li ho trovati completamente ubriachi e Fuz era dovuto correre al bagno per vomitare. In compenso Gesso aveva tirato su una tipa identica a Chiara De Molina dei Best Fire, ubriaca pure lei. Si stropicciavano con la lingua, si strusciavano e lei gli teneva una mano sul culo, sotto le mutande. Dalla mia posizione vedevo gli zigomi un po’ sporgenti, sotto i ciuffi di capelli scuri, uguali uguali a quelli della De Molina. Era vestita con una camicetta bianca e dei jeans a tre quarti che le lasciavano scoperte le caviglie e gli stinchi. Mentre si facevano lei muoveva i piedini a destra e a sinistra, come se stesse ballando, oppure agganciava il piede destro al palo dello sgabello, o se li strofinava uno contro l’altro. Ad un certo punto ha perso pure una scarpa, ma è riuscita a recuperarla al volo senza dover interrompere quello che stava facendo. Le è solo scappato un “oh” divertito.
Attorno al nostro tavolo la gente si era messa a ballare. Qualcuno chiacchierava, qualcuno fumava anche se nel locale era proibito, qualcun altro si beveva un cocktail appoggiato al muro.
Dovevi esserci, per capire cosa è successo. Io ricordo solo la faccia di Gesso piena di sangue e la mia mano che stringeva un pezzo di vetro rotto come se fosse un pezzo di pane.

Dopo quella volta le cose non sono andate più tanto bene per me. Non mi sono più laureato e ormai sono sei mesi che entro ed esco dall’ospedale. Mi sono venute delle ulcere all’intestino.
Non mi piace andare all’ospedale così spesso. È sempre pieno di gente che sta peggio di te e ogni volta che ritorno a casa sono convinto di avere un mucchio di malattie terribili. Per qualche settimana mi sono fissato di avere la sclerosi multipla. Ero disperato, avevo pure pensato a come potessero risuonare le mie ultime parole scritte a penna su un foglietto prima di ingerire il cianuro, o prima di impiccarmi, o prima di lanciarmi dal terrazzo. Avevo pure provato a scrivere qualcosa, ma non mi era venuto in mente niente, a parte un post scriptum per Gesso con qualche gruppo da ascoltare. Tutto questo perché un pomeriggio avevo scambiato due chiacchiere con un tipo che aveva scoperto di avere la sclerosi a trentacinque anni. Gli si era manifestata con un intorpidimento del braccio: non riusciva più a muovere le dita della mano. Gli altri sintomi erano: un fastidioso singhiozzo, un po’ di rincoglionimento, e gli occhi che gli si muovevano su e giù a scatti. Quando sono tornato a casa mi sono messo davanti allo specchio e sono rimasto lì per quasi un’ora a guardare se gli occhi mi si muovevano come mi aveva detto il tizio. E si muovevano! Poi mi sono venute tutte delle strane contrazioni alle braccia, alle gambe e sparavo un mucchio di cazzate. Ma il mio medico ha detto che era solo stress.
Ti ho raccontato questa ma ce ne sono state anche altre. Per esempio l’infarto, l’emorragia cerebrale, il prolasso del retto, il verme solitario, il tumore ai testicoli, i calcoli, il morbo di Schnauzer.
Con Gesso ci siamo chiariti, e continuiamo a vederci spesso, anche se meno di una volta. Ogni tanto, quando mi sento abbastanza in forze, andiamo in un bar vicino casa, in genere prima di cena. Parliamo di parecchie cose e lui si prende nota di tutti i gruppi nuovi che gli consiglio. Gesso ordina sempre una pinta di Guinness e un po’ di olive ascolane, quando ce le hanno. Lui lo sa che sono surgelate, ma dice che gli va bene così. Se le fa portare con un mucchio di salsa rosa.
Fede invece preferisce non vedermi.
Tu forse non ci crederai ma in questi sei mesi ho perso quasi cinque chili. Un po’ perché mi sa che il verme solitario ce l’ho avuto sul serio, un po’ perché mi è passato l’appetito. Mia mamma è un po’ preoccupata ma io la tranquillizzo facendole carezzine sulla testa e prendendola in giro.
Adesso però basta parlare. Affacciati alla finestra e guarda bene, mi vedi? Ti do un indizio: vedi quel ragazzo che fuma una sigaretta appoggiato al muro vicino al barbiere Sandro? Come qual è il barbiere Sandro? È quello con la scritta circondata dalle lucette. Ecco, mi hai visto? No, non sono io quello che fuma: quello è Gesso. Io sono dal barbiere, seduto sul seggiolone.
Ti sto salutando attraverso lo specchio.

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