Musica leggera

Musica leggera

Autore: Daniele Garbuglia
Casa editrice: Casagrande
Pagine: 125

La vita disordinata di un ragazzino in piena fase di crescita, che si aggira come un fantasma (un fantasma e come tale un po’ sbiadito) in paesaggi di periferie innevate e attonite che sembrano usciti dalle fotografie di Luigi Ghirri: quello che Garbuglia descrive in Musica leggera è il delicato passaggio tra adolescenza ed età adulta; gli ambiti in cui avviene questo passaggio sono i soliti: lavoro, famiglia, amore. Il lavoro sarà allora difficile perché il burbero padrone ci maltratta (ma in fondo ci vuole bene); in famiglia ci sarà stato un lutto, magari di un padre buonissimo, ma poco conosciuto, che muore in un incidente e che non siamo ancora abbastanza maturi da sostituire; l’amore, poi, meglio non parlarne visto che non si trova mai il coraggio per rivolgersi alla ragazza tanto carina che si vede sempre scendere dall’autobus («E così l’ha vista diventare una ragazza vera, con il seno che le è cresciuto e le forme del corpo che sono diventate più morbide, le gambe affilate, i capelli lunghi che porta spesso raccolti dietro. Vorrebbe fermarsi a parlare con lei, ma non sa cosa dirle e il solo pensiero lo fa arrossire.») Quello che teme chi scrive è che il trend del momento, visto anche l’inspiegabile successo editoriale di Silvia Avallone, sia di scrivere romanzi pieni di una specie di pulviscolo atmosferico, con begli effetti di luce e niente più. Garbuglia scrive bene e di questo si deve dare atto; ottime descrizioni, squarci lirici e atmosfere rarefatte accompagnano l’intera narrazione. Ma ciò che latita è il picco di emozione, che sia di ironia, tristezza, rabbia o di qualsiasi altro sentimento; un ragazzino adolescente che per l’intero corso del romanzo non fa altro che pensare, cogitare, considerare, osservare, diventa un «personaggio tutto testa» e completamente sbilanciato. Lo stereotipo culturale dell’adolescenza irrequieta e tormentata dovrebbe essere accompagnato almeno da qualche azione che scandisce il ritmo della narrazione. Questo non avviene nel romanzo di Garbuglia perché sin dall’inizio si ha l’impressione di aver già avuto a che fare con quello che viene raccontato, di averlo già sentito o letto da qualche altra parte. Si voleva raccontare il vuoto di una non-fase della vita di un adolescente: si volevano spiegare i sentimenti che passano per la testa di un ragazzo che ha perso il padre; ma, evidentemente la musica leggerissima che fa da sottofondo alle vicende è troppo flebile per poter essere percepita.
Mattia Filippini
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