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Los Ingrávidos. Intervista #1 Paula Cifuentes

1) Quanti anni hai, che libri hai pubblicato e come ti guadagni da vivere?
Ho ventisette anni, ho pubblicato due romanzi storici e mi mantengo traducendo libri.

2) Come e quando hai iniziato a interessarti di letteratura? C’è un libro, uno scrittore o un evento della tua vita che ti ha spinto a scrivere?
Che io ricordi, non c’è stato nessun momento iniziatico, nessun evento che mi abbia detto: «Ecco qui la tua vocazione, Pietro, lascia tutto e seguimi». Ho iniziato a scrivere perché mi piaceva leggere. E continuo a scrivere soprattutto perché mi piace leggere.

3) Puoi raccontarci i tuoi momenti più difficili da scrittrice inedita e come sei arrivata alla pubblicazione?
La verità è che non ci sono stati momenti difficili. Credo di essere stata fortunata in questo senso. Ero nel posto giusto al momento giusto e finora non ho mai dovuto affrontare il rifiuto di un editore. È tutta una questione di fortuna: c’è stato un editore che ha creduto in me e ha voluto scommettere su quello che avevo scritto.

4) Di cosa parlano La ruta de las tormentas e Tiempo de bastardos? Come sono nati?
La Ruta de las tormentas è un romanzo che ho iniziato a progettare a quattordici anni. È un viaggio iniziatico in tutti i sensi, dato che anche il protagonista ha quattordici anni all’inizio del libro. Descrive il quarto viaggio di Cristoforo Colombo attraverso gli occhi di suo figlio, che da un momento all’altro si trova costretto a maturare rapidamente e in circostanze avverse. È un romanzo che mi ha fatto soffrire molto, non perché fosse il primo, ma per il processo di introspezione che presupponeva: mettere a nudo i rapporti con i tuoi genitori, saper allontanarsi e prendere distanza, analizzare la morte degli amici, le prime relazioni amorose… Ero molto giovane quando l’ho scritto, ma non avrei potuto scriverlo in un altro momento, perché nel romanzo non racconto solo un’ossessione storica, ma anche la mia adolescenza.
Tiempo de bastardos trae ispirazione dalla mia infanzia a Segovia ed è un romanzo più leggero e fluido. Si tratta sempre di un romanzo storico, ma ambientato in un’epoca in cui l’individuo aveva un peso minore e quello che importava era la collettività. Perciò ho potuto usare un personaggio come se fosse una pedina. Beatriz è questo: qualcuno che rappresenta lo spirito di un’epoca, qualcuno che si trovò al centro di un momento cruciale della storia della Spagna, ma che allo stesso tempo non poté esprimere la propria opinione riguardo al suo futuro. Un personaggio a tutto tondo che però, analizzato come modello di un’epoca, mi permetteva di sviluppare una storia complessa. Ed è anche, certo, un piccolo riflesso della mia vita. Quando ho pubblicato il romanzo avevo ventidue anni e iniziavo a scoprire un mondo in cui non sarei più stata assoggettata alla volontà dei miei genitori, ma avrei ricoperto io stessa il loro ruolo. Mi avevano preparata ad affrontare la vita e avevano fatto un passo indietro, lasciando che me la cavassi da sola. A Beatriz succede un po’ lo stesso: è abbastanza grande per avere figli però lei vorrebbe continuare a essere «figlia» per sempre. È a metà del cammino, quando uno smette di essere bambino ma ancora non vuole essere adulto perché non sa come esserlo.

5) Quali sono le ragioni che portano una scrittrice quasi ancora adolescente a scegliere il romanzo storico?
Il romanzo storico ha due vantaggi fondamentali. Uno pratico e l’altro letterario.
È un corsetto che modella quello che racconti e ti impedisce di debordare. Ecco il vantaggio pratico. Per qualcuno che sta iniziando a scrivere, che deve imparare a controllare le tecniche, è il metodo ideale.
Il vantaggio letterario è che ti obbliga a cercare l’essenza dell’essere umano. Quello che fa sì che un personaggio storico smetta di essere storico e diventi letterario è la sua umanità. In generale le cose che spingono la gente ad agire sono sempre le stesse: la famiglia, l’amore, l’amicizia, la paura… E se un romanzo può riflettere queste cose, sarà un buon romanzo. Che sia un romanzo storico o meno.

6) Quanto il lavoro degli editor ha cambiato i tuoi testi?
Finora per niente. Immagino che dipenda dal fatto che sono romanzi giovanili e che il mio editor aveva piena fiducia in me e non voleva alterare la mia voce.

7) Cosa sta succedendo attualmente nella scena letteraria spagnola? Di cosa si scrive? Quali sono le particolarità della tua generazione di scrittori?
Stiamo attraversando un periodo strano. Quelli che vengono considerati giovani scrittori hanno trenta o quarant’anni ed è normale che il ricambio avverrà con quelli che ora ne hanno suppergiù venti, che a breve saranno considerati i «veri» giovani scrittori. Per questo credo che noi che ne abbiamo venticinque o poco più saremo un’altra «generazione perduta», non saremo mai giovani scrittori, solo nuovi scrittori.
Parlo di generazione esclusivamente come criterio temporale perché credo che non ci sia nessun tratto in comune (oltre all’anno di nascita) che ci identifichi come gruppo. La letteratura spagnola si trova nella stessa situazione della Spagna: sta cercando di risolvere i suoi problemi. E ciascuno fa quello che può, quello che sa, quello che crede gli riesca meglio: è una situazione strana.
Si osservano delle tendenze che però, come nell’economia, sono cicli molto brevi che non definiscono un tutto globale. Una di queste tendenze potrebbe essere la letteratura frammentaria della generazione Nocilla, o la letteratura che potremmo chiamare Lacaniana, che cerca di scoprire quale sia il ruolo del padre e della quale possiamo citare molti esempi come Marcos Giralt, Zambra o Pron. Ci sono nuovi romanzi sociali come quelli di Alberto Olmos o Álvaro Colomer, nei quali non si parla più di un’imposizione esterna, di una lotta contro un mondo ingiusto, ma di una lotta contro una nuova imposizione morale, una nuova dottrina del pensiero. Gli esempi sono tanti. Ci sono la letteratura iperbreve, il racconto breve, la nouvelle, i noir e i romanzi storici. Ognuno rivendica l’importanza di quello che gli piace e questi generi assumono sempre maggiore spazio all’interno di quella che viene considerata «Letteratura» con la elle maiuscola. È come con i jeans: prima si potevano portare solo di una forma determinata, con un certo taglio. Ora non si scandalizza più nessuno per i jeans a vita alta o bassa, a zampa di elefante o a sigaretta.

8) Credi che internet abbia svolto un ruolo fondamentale nell’autopromozione e nel creare relazioni e stimolare il confronto tra gli scrittori di questa nuova generazione?
La verità è che io sono pessima a promuovermi. Ma è vero che internet è uno strumento perfetto sia per la promozione che per la formazione di nuovi scrittori. Lo è perché coniuga vari fattori: è un modello di esposizione illimitato, permette una comunicazione immediata e indubbiamente ha creato un nuovo linguaggio. Finora i mezzi di comunicazione erano limitati nello spazio e nel tempo. Il giornale è antiquato e la televisione (nonostante il digitale terrestre) è carissima e pertanto deve essere prima di tutto redditizia. Un libro non permette di stabilire un dialogo e, inoltre, a un certo punto finisce. Internet ha superato tutte queste barriere e ha creato un nuovo paradigma che proprio perché è innovativo non ha reso obsoleti quelli precedenti (a parte forse i giornali che dovrebbero progettare un cambio radicale verso un modello molto più analitico, ma questa è un’altra storia).

9) Che influenza ha la letteratura ispanoamericana su di te? La senti meno tua di quella spagnola?
Non mi piace la separazione tra letteratura ispanoamericana e spagnola. In generale non mi piacciono i regionalismi e se la Spagna e altri Paesi condividono uno stesso spazio linguistico (a differenza di Portogallo e Brasile, ad esempio) è per un motivo. In questo momento in cui – se non ci sono imposizioni nazionalistiche di mezzo – i libri attraversano le frontiere delle nazioni con facilità e gli scrittori sono in costante contatto tra di loro, fare questa distinzione mi sembra assurdo. Sto parlando di criteri letterari e non di industria editoriale, che è un altro paio di maniche. Comunque, tra i maestri che apprezzo della letteratura ispanoamericana ci sono Borges, Onetti, Cortázar, Rulfo, Paz, Cabrera Infante, Bolaño, Mistral, Parra… la lista è infinita. E tra i giovani: Emiliano Monge, Valeria Luiselli, Juan Gabriel Vásquez, Guadalupe Nettel, Martín Kohan, Rafael Gumucio, Pablo Ramos, Yuri Herrera… sicuramente ne sto dimenticando moltissimi.

10) Com’è nato il racconto che hai pubblicato su Colla?
La verità è che non lo so. Spero non dal desiderio di vedere mia sorella morta.

11) Qual è l’ultimo libro di uno scrittore italiano che hai letto? Qual è il tuo scrittore italiano preferito?
L’ultimo libro: Momentos de inadvertida felicidad di Francesco Piccolo. E tra gli scrittori non posso sceglierne solo uno: Primo Levi, Dante, Petrarca, Calvino, Tomasi di Lampedusa, Papini… E Natalia Ginzburg!

12 ) Stai scrivendo qualcosa in questo momento?
Sì, sto scrivendo molto. Ho mille idee in testa. Scrivo e correggo. Ho scritto un romanzo storico (dovrebbe essere l’ultimo, anche se mai dire mai), ho iniziato un altro romanzo e scrivo tutto quello di cui mi viene voglia di scrivere. Non mi lamento.

 

 

 

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