Il testamento di Salvatore Siciliano

Autore: Salvatore Cobuzio
Casa editrice: Fazi
Pagine: 211

Una volta c’era l’indice di gradimento, c’era l’essere felici o infelici, c’erano certezze incrollabili e antiche come il mondo. Una volta si provava a godere ogni esperienza in tutta la sua pienezza, si riusciva o si falliva, ma ogni vittoria era una vittoria netta. Una volta erano di più le cose che eravamo di quelle che avevamo.
Ora ci sono i dati di vendita, c’è l’essere soddisfatti o insoddisfatti, c’è il progresso che non si può fermare. Ora siamo convinti che l’unica esperienza possibile sia quella di superficie e non riusciamo più a distinguere una vittoria da una sconfitta. Ora possediamo centinaia di oggetti, ma anche se siamo restii ad ammetterlo, sappiamo di non essere nient’altro che vuoto: uno sconcertato, frenetico, frammentato vuoto.
Il testamento di Salvatore Siciliano è un libro che rappresenta benissimo i nostri tempi. È un libro funzionale, un libro che nasce in funzione di una campagna di web marketing. L’idea della campagna di marketing è antecedente alla scrittura del libro: una volta trovato il modo di catalizzare l’attenzione dei consumatori, la si è indirizzata verso il prodotto che si credeva potesse farla rendere al meglio, un romanzo.
Nella fase che ha preceduto l’uscita in libreria, questa strategia ha funzionato: in un primo momento gli utenti del web hanno cercato di capire chi fosse Salvatore Siciliano, perché diffondesse in rete un messaggio d’addio che sembrava preludere al suicidio; quando è stato spiegato che si trattava del protagonista di un romanzo, ci si è interrogati sui temi dello stesso, su quello che avrebbe rivelato, su come Salvatore Siciliano avrebbe aperto un po’ i nostri occhi («… prima di chiudere per sempre i miei occhi compio l’ultimo sforzo: apro un poco i vostri» recita un passaggio de Il testamento, che è apparso prima sul web ed è poi stato riportato in quarta di copertina). Nella fase successiva, però, il meccanismo si è inceppato. C’erano tutte le premesse perché il romanzo venisse catapultato al centro degli spazi online di discussione letteraria, perché ricevesse una miriade di recensioni sulla stampa tradizionale e approdasse infine a un considerevole successo commerciale (grazie anche all’ottima distribuzione che Fazi ne ha fatto in libreria). Cos’è accaduto allora? Cerchiamo di capirlo analizzando il testo al di là delle connotazioni extradiegetiche.
Il testamento di Salvatore Siciliano è costituito da due narrazioni parallele. Da una parte c’è il testo integrale del testamento pubblico lasciato da Siciliano (manipolatore di social network e di tutti gli strumenti offerti dalla rete, il miglior programmatore in assoluto, come lui stesso si definisce) prima di sparire. Dall’altra c’è il racconto della ricerca di Salvatore da parte dei suoi amici, da parte soprattutto di Fabrizio, uno scrittore restio a servirsi delle nuove tecnologie.
Se l’antefatto, lungo appena due pagine, appare alquanto superfluo, il vero incipit del romanzo, il primo brano del testamento, è promettente, sia per come è calibrato il linguaggio, sia per l’immediatezza con cui viene introdotto il personaggio di Simona Manto, la compagna di Salvatore: il lettore non occasionale è portato ad avere delle aspettative riguardo al rapporto tra Salvatore e Simona, a ipotizzare una certa morbosità in questo legame o quantomeno a intuire un nesso tra il ruolo della donna e la rassegnata disperazione che emerge dalla voce del protagonista.
Ma ogni aspettativa verrà delusa.
Al di là di alcune incongruenze tra le parole e le azioni dei personaggi, dell’assenza di verosimiglianza in diverse parti del testo e di una lingua non proprio efficacissima, quello che stupisce è la poca familiarità dell’autore con le più basilari tecniche della narrazione. La mancanza di complessità dei caratteri dei personaggi e la derivante incapacità di mettersi in discussione sia del protagonista che dei suoi amici, sono i più veniali tra i peccati di Cobuzio, anche se il buonismo che pervade le relazioni interpersonali a un certo punto inizia a nauseare. La storia è statica, non ha alcun tipo di evoluzione. In duecento pagine non ci sono momenti di tensione o sorprese. Cobuzio ci dice che Siciliano si trova in una situazione di grande pericolo, ma non ce lo fa avvertire: nell’intero romanzo non appare nemmeno una scena in cui temiamo per la sua incolumità o per quella di uno degli altri personaggi. E una storia del genere non ha ragione di esistere senza suspense. Forse – ma è solo un’ipotesi – l’autore pensava che le spiegazioni riguardo a come Internet può essere manipolato (che costituiscono la parte più ingente del testamento di Siciliano) sarebbero bastate a stupire il lettore e per questo non ha ritenuto necessario articolare a dovere il racconto che fa da contenitore a queste «rivelazioni». Ma il romanzo, e la narrativa più in generale, non funzionano così: l’unico modo che hanno di essere incisivi è rispecchiare l’esperienza, amplificandola e rimodellandola al tempo stesso. Altrimenti non rimane altro che il vuoto.
Marco Gigliotti
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