James Dean di borgata
di Gianluca Colloca

BOCCIONE SI FA I FLASH. Lui non ci poteva credere, eppure proprio quella scritta era comparsa, pochi giorni prima, su una delle pareti del bagno dei maschi. Enorme, a coprire mezzo muro, giusto sopra il lavandino. Nessuno avrebbe potuto evitare di vederla. Certo, i professori non frequentavano il bagno degli alunni, però il preside ogni tanto una capatina ce la faceva, magari per cercare di beccare qualcuno del ginnasio con la sigaretta in mano. E comunque il bidello prima o poi avrebbe riferito, o la voce si sarebbe sparsa da sola. Non c’era in effetti alcun motivo per dar credito a quanto si leggeva sui muri dei bagni, però lui, Antonio detto Boccione, aveva già i suoi problemi con professori e presidi per motivi di profitto e condotta, per star lì a contrastare una diceria, che magari poteva essere anche fondata, ma non era proprio il caso di comunicarlo al mondo così.
Però non riusciva a preoccuparsene più di tanto. Era una scocciatura e basta. La scocciatura gli dava più fastidio della diceria, visto che non aveva una buona reputazione da difendere. Gli rimaneva però un pensiero: chi era stato? Nel caso avrebbe potuto fargliela pagare adeguatamente. Si trattava di uno scherzo goliardico, buttato lì in una mattinata pallosa tanto per passare il tempo? In quel caso i suoi amici avrebbero potuto calunniarlo sul muro giusto per vedere la sua reazione, per farlo arrabbiare un po’. Ma se invece era qualcuno a cui lui stava antipatico o che voleva vendicarsi di qualcosa? Ma di cosa potevano volersi vendicare? Lui era sì un casinista, un piantagrane perdigiorno, uno studente solo di nome, ma in fondo tutti gli volevano bene. Si trattava forse di qualcuno colpito da una stalattite di catarro?
Aveva l’abitudine, insieme al fido compare AolaMan, di cimentarsi in una sfida particolare, che si disputava negli intervalli fra le lezioni, o nelle ore di buco, o in qualche ritirata strategica al bagno, perlopiù tra una sigaretta e l’altra. La gara consisteva nello sputare il più in alto possibile, fino a raggiungere il soffitto. Questa competizione, sviluppatasi durante tutti e cinque gli anni del liceo, aveva fatto sì che sulla parete superiore del bagno dei maschi si fosse alla lunga formato uno strato geologico di stalattiti di catarro, pendente e ormai seccato. Ma più di una volta avevano sentito di compagni sorpresi all’improvviso nel vedere cadere sputi, evidentemente freschi, giusto durante il soddisfacimento dei loro bisogni fisiologici. Ormai da un paio d’anni quanti entravano nel bagno degli uomini, per prima cosa, guardavano verso l’alto, temendo stalattiti pericolanti. Fino ad allora però nessuno era stato colpito.
E se qualcuno invece fosse stato centrato di recente e avesse pensato di prendersi una rivincita sputtanandolo?
A questo pensava nel buio della sua cuccetta mentre il treno sferragliava sulle rotaie. Chissà se avevano già passato la frontiera. Non riusciva a trovare né l’orologio né l’interruttore della luce. Era solo nella stanzetta-scompartimento. Si era addormentato un attimo e i suoi compari intanto se ne erano andati in giro, senza svegliarlo. Si affacciò in corridoio, ma non vide nessuno, né voci si sentivano dagli scompartimenti vicini.
«E che cazzo!», esclamò a bassa voce, «Dove sono finiti tutti?».
Lo crucciò un poco il pensiero che i suoi compagni di classe si stessero divertendo mentre lui invece se ne stava in cuccetta senza sapere dove andarli a cercare. Ma dopo qualche secondo non ci pensò più, richiuse la porta e tornò a stendersi sul letto.

Quando AolaMan e Mascherina rientrarono nella cuccetta, Boccione ormai dormiva alla grande. Non provarono nemmeno a svegliarlo, né abbassarono il tono di voce per non disturbarlo, tanto sapevano che non era possibile. Quando Boccione dormiva non bastavano i tuoni e le cannonate per riportarlo sulla terra. Una volta, l’anno precedente, si addormentò durante l’ora di inglese. In verità gli capitava abbastanza spesso di addormentarsi durante le lezioni, ma perlopiù con un occhio solo, causa l’ovvio timore di essere scoperto. Quella volta però fu particolare. La sera precedente aveva partecipato a una festa di diciott’anni protrattasi fino all’alba. La mattina se ne sarebbe rimasto volentieri a letto, ma non poteva accrescere ulteriormente il numero di assenze nell’apposita casella, era ormai la fine di maggio e i professori sembravano molto interessati a quelli che lui invece considerava dettagli.
Resistette strenuamente durante le due ore d’italiano, materia nella quale rischiava di essere rimandato a settembre, ma quando alla terza ora si trasferirono in laboratorio per la lezione d’inglese, ognuno nella sua postazione con le cuffie sulle orecchie, si rese conto di essere molto più lontano dalla cattedra che non in classe, e molto più coperto. Inoltre la professoressa li mise a guardare una vecchissima versione in bianco e nero di Oliver Twist. A Boccione bastarono pochi minuti di proiezione per prendere sonno agevolmente. Quando l’ora terminò, la prof spense il videoregistratore, mentre gli studenti iniziarono ad alzarsi per tornare in classe. Tutti tranne Boccione. Provarono a scuoterlo ma lui niente, seguitava a dormire profondamente. Alla fine pure la prof non poté fare a meno di accorgersi di quel suo studente che se la dormiva della grossa come nemmeno a letto. Gli si avvicinò mentre i compagni di classe sorridevano e si davano di gomito, anche lei abbastanza divertita dalla situazione. Provò a toccarlo e poi a chiamarlo, senza ottenere alcun risultato.
«Che cosa facciamo?», chiese allora la prof allargando le braccia e rivolgendosi al resto della classe, «Non possiamo mica lasciarlo qui».
Per un attimo AolaMan fu attraversato dall’idea di Boccione che restava a dormire sul banco del laboratorio d’inglese, svegliandosi solo al pomeriggio quando non c’era più nessuno nella scuola. Sorrise al pensiero dell’espressione sorpresa del compagno. Poi però gli venne in mente uno scherzo che gli parve certamente più divertente, e allora decise che era giunto il momento di offrirsi volontario per il bene della scuola e del suo compagno narcolettico.
La professoressa lasciò fare; non si può dire che avallò la cosa, ma certo non si oppose. Del resto si era ormai quasi alla fine dell’anno scolastico e in quel periodo i professori tendono a concedere qualcosa agli studenti, tollerando le loro goliardate.
AolaMan andò alla postazione di comando del laboratorio, infilò la cuffia e accese il microfono, collegandosi solo con Boccione. Guardò i compagni che già ridevano guardando lui e Boccione alternativamente, e pensò fosse il caso di dare il meglio di sé per tirar fuori un bel grido.
Prese fiato e poi strillò nel microfono con quanto fiato aveva in gola.
«Boccioneeeeeeee!».
Contrariamente a quanto tutti si aspettavano, Boccione non fece alcun salto sulla sedia e non morì di spavento, ma con molta semplicità tirò su la testa con la calma di chi è stato svegliato dal canto di un uccellino, si stropicciò gli occhi e, come se non fosse accaduto nulla, si diresse tranquillo verso la classe. Forse, però, era solo un modo per mostrarsi superiore in un momento in cui tutti stavano ridendo di lui.
Comunque quella notte, viaggiando verso Parigi nel silenzio pressocché totale del vagone letto, AolaMan e Mascherina non poterono fare a meno di ricordare per la millesima volta quell’episodio. Per sorreggere degnamente l’attacco di riso che li colse, decisero di approfittare ancora dello stato semi-vegetale del loro amico, presero un tubetto di dentifricio alla menta e gliene spalmarono un po’ sotto il naso. Guardarono per qualche minuto Boccione fare qualche verso e muoversi leggermente, forse disturbato dall’odore della menta, senza però svegliarsi. Risero a crepapelle, poi si scocciarono e iniziarono a chiedersi che fine avesse fatto Gianni.

«Le donne fanno solo soffrire».
Già, pensò Boccione nel suo stato comatoso. Era proprio così. Ne aveva conosciute tante, lui, di ragazze che l’avevano fatto solo soffrire. Ma non voleva pensarci. Stava dormendo adesso. Voleva sognare altre cose, tipo biondone con le tette enormi che morivano dal desiderio di fare sesso con lui, che lo supplicavano di far l’amore.
«Le donne fanno solo soffrire».
Invece, piano piano, cominciavano ad apparirgli davanti le ragazze della sua vita, ma imbruttite, disgustose, come se fossero davanti a uno specchio deformante.
Solo a quel punto si svegliò. Il suo subconscio preferiva affrontare la realtà, per quanto brutta poteva essere, piuttosto che, per un’altra volta, le fidanzate passate. Si tirò su a sedere sul letto e si passò una mano sotto il naso, da dove proveniva un forte odore di menta; la mano tornò sporca di una sostanza verdina, mezza trasparente, che sembrava dentifricio. Non disse una parola, per non dare soddisfazione ai suoi compari e si pulì con l’esterno delle lenzuola.
«Guarda chi si rivede», lo apostrofò Mascherina.
«Già», replicò lui atono, ancora mezzo addormentato.
«Come fai a dormire così profondamente?», gli domandò in maniera sarcastica AolaMan.
Boccione sbuffò.
«Io almeno dormo, in cuccetta», replicò spazientito, «mentre ci sono altri che non fanno altro che farsi le seghe!».
In risposta sentì distintamente una scoreggia.
«Anche scoregge», aggiunse Mascherina.
«Scoregge e seghe», ripeté Boccione, «non fate altro che scoreggiare e tirarvi le seghe!».
A quel punto vide anche il quarto passeggero dello scompartimento, che non aveva preso parola nella diatriba.
«Be’, Gianni», gli disse, «com’è andata con Monica?».
Gianni rispose annuendo col capo, sempre senza parlare. Boccione notò come il suo amico avesse assunto una terribile, ridicola aria da James Dean di borgata, e sapeva benissimo che c’era sempre da diffidare degli amici nella fase James Dean di borgata. Questo comunque non gli impedì di comportarsi come al solito.
«Te l’ha data? », chiese.
In pochi minuti fu messo a conoscenza dei fatti, e cioè che i due, dopo una seratina di parole dolci e carezze e baci, si erano messi insieme. Però lei non gli aveva concesso nient’altro che gesti quasi platonici, al che Gianni, invece di trasformarsi nell’incredibile Hulk ed esigere il dovuto, era diventato James Dean, assumendo quell’aria distaccata e superiore che era propria degli artisti maledetti, iniziando a parlare di argomenti filosofici e trascendenti, elaborando teorie sulla vita e riflessioni sul mondo. Siccome Gianni di solito era un coatto caciarone, questa mutazione non poteva che avere effetti esilaranti su chi lo guardava. Boccione infatti cominciò a sorridere di nascosto, mentre parlava con lui.
Ma AolaMan e Mascherina, che già da un po’ avevano a che fare con questo James Dean di borgata, si erano ormai rotti le palle. Non ne potevano più di discorsi sul mondo, sulla contrapposizione tra il bene e il male, sull’anima. Volevano parlare d’altro o, perlomeno, riuscire a dormire.
In realtà c’era una cosa che loro tre sapevano e Gianni no. Monica, infatti, aveva un altro ragazzo a Roma. Uno più grande, che già andava all’università. Però non sapevano come dirglielo, e allora decisero di non dirglielo. Prima o poi lo avrebbe scoperto da solo. Ma non volevano che ci soffrisse troppo, per questo avevano cercato di mandargli dei segnali, di prepararlo alla cruda realtà. Per questo Mascherina gli aveva fatto un discorso dicendo che delle donne non c’è mai troppo da fidarsi, perché fanno solo soffrire. Ma non aveva capito; forse il vero Gianni avrebbe colto il senso di quel discorso, ma James Dean lo intese come un invito a riflettere ancora sulle cose della vita.
James Dean, in teoria, non avrebbe dovuto soffrire per una fregatura amorosa, ma non c’era troppo da scommetterci. Solo che AolaMan non ce la faceva davvero più ad ascoltarlo. Voleva il silenzio. Voleva dormire. Voleva farsi una sega sotto le lenzuola in tutta tranquillità, e i discorsi sull’anima e sulla vita non lo stimolavano a eccitarsi. Aveva fatto capire agli altri due che o riuscivano a zittirlo o lui gli avrebbe raccontato dell’altro tipo che si chiavava Monica a Roma.
«Sapete», disse James Dean quando pareva si fosse calmato, conciliante del sonno altrui, «tutta questa situazione e i nostri discorsi mi hanno portato a riflettere dell’essenza di Dio…».
E da lì iniziò un lungo monologo sulla religione, sulla chiesa, sullo spirito e sulla vita dopo la vita, che impedì agli altri di chiudere occhio fino all’alba, tranne naturalmente a Boccione.

Il James Dean di borgata, che alcuni conoscevano come Gianni, non possedeva una Porsche e, per dirla tutta, era stato pure bocciato all’esame di guida. Altrimenti sarebbe potuto saltare sulla sua coupè lanciandosi a folle velocità per i Campi Elisi, per dimenticare il tradimento, scacciare la tensione e magari rimorchiare qualche bella francesina. Ma non possedeva una Porsche, appunto, non era un attore o un artista maledetto, era solo uno studente dell’ultimo anno in gita con la scuola, e il pullman che nei giorni a venire li avrebbe accompagnati a visitare le meraviglie di Parigi non aveva l’aria di essere decappottabile.
Non potendo dunque chiudere la questione in una folle e mortale corsa lungo i boulevard, decise comunque di affrontare la situazione da uomo, come gli imponeva il suo nuovo status di James Dean di borgata. Confidò la sua intenzione di parlare con Monica agli amici più fidati, e in pochi minuti tutti i gitanti ne vennero a conoscenza. La voce si sparse con la rapidità della luce, e lui si ritrovò al centro dell’attenzione come solo a un James Dean può capitare. Mentre saliva le scale per andare al piano superiore, dove alloggiavano tutte le ragazze, una piccola folla maschile e solidale gli si andava formando intorno. Lui non sentiva altro che un indistinto brusio, cercando di concentrarsi sul da farsi.
Poco prima era accaduto l’irreparabile. AolaMan, incazzato per la notte in bianco, aveva deciso di vendicarsi. Forse avrebbe potuto non dirglielo, forse non era il caso di far soffrire troppo quel ragazzo in piena mutazione melodrammatica. Ma in fondo, si giustificò con se stesso, non era un atto di vendetta, il suo, ma si trattava solo di un amico che ti apriva gli occhi sulla cruda realtà. Tutto sommato faceva quasi un’opera di bene. Più tempo passava e più Gianni avrebbe sofferto nello scoprire la verità. Comunque, per essere sicuro che gli effetti di quel gesto non ricadessero su di lui, aspettò che fossero arrivati in albergo per dirglielo. Sul treno non si poteva, nel chiuso della cuccetta Gianni si sarebbe solo lanciato in un lunghissimo e straziante lamento, o avrebbe indagato ulteriormente i recessi della psiche, e la prospettiva di tuffarsi da un treno in corsa per scampargli non lo entusiasmava troppo. In albergo non avrebbe avuto di questi problemi, infatti stavano in camere diverse.
Così glielo disse, che Monica aveva già un altro fidanzato; gli altri amici, interrogati, non poterono far altro che confermare. Gianni nemmeno per un secondo perse la sua aria da James Dean di borgata e, superato in breve lo shock iniziale, si decise ad affrontare direttamente l’interessata.
Adesso camminava con fare deciso lungo il corridoio, senonché, mano a mano che la stanza di Monica si avvicinava, il suo passo diventava sempre più breve. La marcia della truppa che lo seguiva era ovattata dalla moquette, ma questo non impedì alle altre ragazze del piano di sentire che stava succedendo qualcosa d’interessante, e così il gruppo divenne misto. A dire la verità, si aggiunsero, attirati dalla confusione, anche un paio di ragazzi tedeschi, un manipolo di immancabili turisti giapponesi, due donne delle pulizie di mezza età, un cameriere francese di origini basche e una coppia di satrapi americani convinti che si stesse organizzando un’orgia.
Davanti alla porta della stanza di Monica, James Dean respirò a fondo, poi bussò con fermezza. Venne ad aprire la compagna di stanza, e sul letto si intravidero le valigie ancora mezze disfatte.
Che palle, pensò solo la ragazza quando vide Gianni, già qui?
Non fece nemmeno troppo caso alla folla eterogenea disposta a semicerchio alle spalle di James Dean, anche se notò un biondino che non era niente male. Monica venne subito alla porta. All’inizio sorrise, poi scorse il viso corrucciato di Gianni e in una frazione di secondo capì che c’era qualcosa che non andava, e sospettava benissimo cosa. Lì per lì non seppe spiegarsi la presenza di tutta quella gente.
«Monica», esordì James Dean ad alta voce, impettito, in modo da poter essere ascoltato dall’intera folla che gli si accalcava intorno, «Monica, tu mi hai pugnalato alle spalle».
Sul pianerottolo il silenzio era tombale.
«Monica, te lo voglio dire», proseguì, «sei proprio una zoccola!».
La parte maschile e italiana del pubblico esplose in un boato di gioia.
«Bravo! Bravo!», gli gridarono, applaudendo a lungo.
Monica, dopo alcuni secondi di silenzio e sconcerto, scoppiò a piangere. James Dean se ne andò con passo deciso e il capo chino. I giapponesi scattarono delle foto alla ragazza in lacrime. Il cameriere e la coppia di americani chiesero una traduzione di quanto aveva detto il James Dean di borgata. I ragazzi della scuola andarono dietro a Gianni ammirandolo come se fosse un eroe. Le donne delle pulizie tornarono a spingere i loro carrelli smoccolando e commentando la sconclusionatezza degli adolescenti. Le altre ragazze restarono per un poco a consolare Monica prima di riprendere a disfare i bagagli.
Solo uno dei due ragazzi tedeschi ebbe il coraggio di parlare a James Dean in quel frangente, mentre lasciava la scena. Lo tirò per un braccio e gli porse una bottiglia di Jack Daniels vuota per metà.
«Drink!», lo esortò in inglese. «Forget!».

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