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Verde acceso
di Giulio G. D’Antona

Buca nove, par cinque.
Il conto dell’uomo grasso e pelato è uno sopra il par, niente handicap, si fa per giocare. La distesa d’erba curata scende con dolcezza seguendo il fianco della collina, sfuma di scuro nel rough e il green è una macchia chiara che vista da quassù sembra una voglia. A cui tutti tendono. Infilare il tee nel terreno è l’unico modo per mantenere il conteggio da questa distanza.

«Drive.»

Il ragazzo caddy estrae il legno senza aprir bocca, pulisce la superficie di sfregamento e quella d’impatto, lo passa al contrario come l’etichetta impone. Mani dietro la schiena e petto in fuori.

«Grazie.»

Due giri sull’impugnatura per una presa sicura. Il sudore cola lungo gli avambracci e solletica i polsi. Per la mano sinistra questo non rappresenta un problema, ci pensa il guanto bianco scamosciato. Con la destra c’è da stare attenti. Cinquant’anni, venti passati sui campi, è qui che si prendono le decisioni importanti, è qui che si fanno i colloqui.

«La Co-Star è un capitolo chiuso lo sai?»
«Non finché ci sarò io.»

L’uomo grasso e pelato sporge il culo grasso e beige chiaro a trama scozzese in fuori. Troppo in fuori, il ragazzo caddy vorrebbe dirglielo ma non può permettersi di affrontare l’ennesima sfuriata isterica. Lascia che colpisca male, recupererà avvicinandosi alla bandiera.

«Dovresti piegarti meno, così svirgoli a sinistra.»
«Fatti i cazzi tuoi, Rigoni. Gioco a golf da prima che tu nascessi.»
«Per me va bene.»

Un soffio di vento risale la collina, ma l’erba non si muove. Il suono secco del legno che colpisce la pallina è annunciato da un risucchio. Se l’uomo grasso e pelato non fosse intento a rintracciare la traiettoria del colpo attraverso l’azzurro del cielo, noterebbe che il tee è inclinato verso sinistra. Pessimo segno.
Rough.

«Vento di merda!»

L’uomo alto e abbronzato ride, avvicinandosi al monticello. Tre sopra il par, ma non gli fa differenza, sa che l’uomo grasso e pelato perde colpi verso le ultime buche, colpa della concentrazione, del fisico e dell’età. Questa volta però se la sta prendendo col vento già dalla terza. Qualcosa non va.

«Te l’ho detto di tenere il culo in dentro.»
«Fottiti.»
«Che succede?»
«Monica mi tradisce.»

***

Buca uno, par tre.
L’uomo alto e abbronzato si ripara gli occhi con la mano, alle cinque del pomeriggio la prima buca è quella orientata peggio. Conosce bene il campo, il vento è sceso ma il sole è appena sopra la linea degli alberi. Centosette metri al green, con la giusta inclinazione e uno swing asciutto potrebbe farcela senza problemi. Sistema il piede sinistro, col tempo ha imparato a identificarlo come il suo punto debole, ora ogni volta che si prepara controlla due volte la posizione. Abbassa le spalle, ginocchia dritte.
L’uomo grasso e pelato parla poco, è concentrato sul gioco. L’uomo alto e abbronzato non riesce a entrare nello spirito, troppi pensieri. La fusione della Co-Star si sta portando via le sue giornate, ma se riuscisse a terminarla non dovrebbe più scendere a compromessi con il ciccione calvo, e soprattutto non dovrebbe più seguirlo avanti e indietro per il campo ogni mercoledì pomeriggio. La testa inclinata, è inutile sollevare lo sguardo, non si vede niente comunque.

«Questo sole mi snerva.»

Uno swing perfetto, è difficile vedere la pallina volare mentre curva con grazia verso destra e si appoggia sulla linea del green. Impossibile non sorridere.
Il ragazzo caddy recupera il legno e lo infila con cura nella sacca, poi porta la sacca verso la macchinetta bianca e lucida, appena sopra il monte. Una goccia di sudore gli corre lungo la tempia. Si ferma per asciugarsi.

«Vuoi un invito scritto, testa di cazzo?»

L’uomo grasso e pelato sputa mentre parla.

«Lascialo in pace, Massimo.»
«In pace un cazzo, impiega più tempo lui a fare il suo lavoro che la fottuta erba a crescere.»

Il ragazzo caddy non fa una piega, asciuga il sudore con la maglietta, carica la sacca e monta sul car. L’uomo alto e abbronzato siede dietro, a cavallo del carrello. Quando sale l’uomo grasso la macchinetta elettrica si sbilancia verso destra. I grugniti coprono i cigolii del semiasse.
Con un singhiozzo ritornano sul sentiero battuto, in silenzio.

***

Buca diciotto, par quattro.
La ragazza snella e bionda è appoggiata alla sdraio di plastica, la testa buttata indietro, sembra che dorma. Il sole è ancora abbastanza caldo. Il vestito è azzurro e corto e con le gambe accavallate sale fin quasi al costume, nessuno vuole accorgersene apertamente. I due uomini dovrebbero già essere in vista, si saranno fermati a discutere sul punteggio. Massimo non è più divertente da mesi, è diventato ansioso e irascibile, non le dà quello che cerca. È appassito e non esercita più alcun fascino su di lei.
Rigoni, invece, sì. La ragazza snella pensa a lui di continuo. È un vincente, e lei i vincenti li ha sempre saputi riconoscere: li fiuta da lontano, li individua al primo sguardo e appena ne trova uno salta in groppa senza pensarci.
Massimo è finito, è il momento di cambiare cavallo.

Il drive sonnecchia sul sedile passeggero, fuori dalla sacca che è appoggiata sul carrello. Il ragazzo caddy guida da solo lungo il sentiero bianco, che luccica di albedo in contrasto con il verde intenso dell’erba. È silenzioso come sempre, ma ha cambiato espressione. A vederlo così sudato e serio sembra quasi un uomo. Si ferma di fronte alla sdraio della ragazza snella e bionda.

«Fabrizio?»

Il ragazzo caddy ha il respiro affannoso, pesante. Allunga una mano verso il legno accanto a sé, ma si ferma a metà strada. È stanco.

«Un incidente, signora.»
«Massimo?»
«Sì, e il signor Rigoni. Venga.»
«Cos’è successo?»
«Venga.»

***

Buca quindici, par tre.
Una buca facile, corta, però bisogna stare attenti al rough. L’erba fitta ai lati del corridoio, largo e tozzo, si mangia le palline, basta un errore di pochi metri per non riuscire più a tornare in partita. Allontanandosi abbastanza all’interno del rough si diventa invisibili dal campo. Chi ci lavora lo sa.
Il ragazzo caddy è lontano, guarda gli uomini muoversi intorno alla buca dalla collinetta della quattro, tanto per farsi un’idea di quanto tempo gli resti. Sono in giacca, uno porta i baffi. Altri uomini prima di loro, senza giacca ma con le pettorine blu, hanno recintato un quadrato di rough di sei metri per sei, e hanno sparso numeri per tutto il terreno. Poi sono arrivate le tute bianche e hanno portato via quello che non serviva. Ed ora ecco gli uomini in giacca. È buio e per illuminare servono dei faretti molto potenti.
Surreale.

«Li ha trascinati qui.»
«Dici che ha pulito da solo la scia?»
«Non lo so, forse è stato fortunato, oppure ha avuto il tempo di aspettare che il sangue coagulasse. Deve averli sollevati quando è entrato nell’erba alta.»
«Ha fatto proprio un lavoro del cazzo.»
«Il medico dice che potrebbero essere passate sei ore.»
«Anche di più.»
«E la donna?»
«Con la donna ci è andato piano.»

La ragazza snella e bionda ha la faccia sprofondata nel terreno, i capelli lisci e lunghi hanno perso tutta la lucentezza e si sono incollati tra loro. Ha gli occhi azzurri aperti, sbarrati, immortalati nello stupore. Il vestito non scopre niente.

«Le ha rotto il bacino, un colpo solo molto forte. Poi deve averla voltata per colpirla sulla nuca.»
«Violenza sessuale?»
«No. Lei non l’ha spostata, però, ci sono due segni di impronte diverse.»
«Hanno trovato il ragazzo?»
«Ancora no, è buio e nessuno lo ha visto uscire.»

Il drive è appoggiato al sedile della caddy car, poco distante dalla buca. Le sacche sono ancori lì, ognuna con il suo numero così come tutti gli altri oggetti che possono rappresentare una prova.
Il ragazzo non si preoccupa, è coperto fino al mattino e con un po’ di fortuna ha qualche altra ora spostandosi di continuo per il terreno. Lo conosce come le sue tasche, cinque anni ad inseguire e riverire culoni incapaci, abbronzati e pieni di sé, con mogli troppo belle e stupide per capire. Cinque anni di uno sport inutile e lento, per ricchi pigri e annoiati, troppo vecchi per spostarsi con le loro gambe. Cinque anni per memorizzare ogni fottuto angolo del fottuto club.

***

Buca quattordici, par cinque.
Buca difficile, lunga e insidiosa. Tre bunker che tagliano il corridoio dal monte al green. Richiede silenzio e concentrazione.

«Ne sei sicuro, Massimo?»
«Ho visto gli occhi di quella mignotta stamattina, dice di aver dormito nella camera degli ospiti ma il letto è troppo in ordine.»
«Forse stai saltando alle conclusioni troppo in fretta.»
«Forse tu mi vuoi fottere.»
«Che stai dicendo?»
«Tira, va’. E finiamo ‘sto circuito.»

L’uomo alto e abbronzato si sforza di sorridere. Scaccia un brivido scrollando le spalle e fingendo di cercare la posizione. Sistema il putter a cui era appoggiato e sfiora la pallina con la delicatezza sufficiente ad accompagnarla per qualche centimetro. Il ragazzo caddy ha già raccolto la bandierina.
È un bel suono quello della palla che rimbalza sulle pareti del tubo di plastica che riveste la buca.

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