Sgabello

Autore: Sarah Spinazzola
Casa editrice: Untitled Editori
Pagine: 69

Ultimamente pare che aprire case editrici sia diventato un modo per estorcere soldi agli aspiranti scrittori di cui l’Italia è piena. Trovare qualche casa editrice di piccole dimensioni che sia seria e abbia addirittura un progetto che la tiene in piedi è impresa ardua. La Untitled fa parte di questa cerchia ristretta e virtuosa: tutta la sua attenzione è dedicata a una sola collana di autori che hanno scelto la rete come mezzo privilegiato per esprimersi, proprio perché la felice idea di questa casa editrice di Bari è che la rete spinga gli autori verso l’originalità, sia di linguaggio che di forme narrative.
Se per vostra natura siete scettici, per fugare ogni dubbio vi consiglio di leggere Sgabello di Sarah Spinazzola. In una Milano deserta, dopo la scomparsa «soffice» di tutto il genere umano, senza alcuna tragedia, dice l’autrice, rimangono solo tre donne (la protagonista, la sorella e la madre) e un cane. Che cosa fare allora? Come nel racconto di Buzzati Viaggio agli inferni del secolo, siamo di fronte ad una realtà che non viene trasformata in visione apocalittica, non si racconta di certo l’orrore di una tragedia universale. Tutto invece è molto intimo e lieve: l’inferno della scomparsa del genere umano diventa piccola cosa, fagocitato dalle abitudini snaturate di una grande città contemporanea. Dopo che è diventato inutile compiere qualsiasi gesto o azione consumistica, c’è la rinascita della parola, del racconto, in una serie di pensieri inanellati pagina dopo pagina come incipit di film: «In un hangar abbandonato o in una vecchia fabbrica decrepita, dal soffitto altissimo […] in uno spazio di questo tipo, c’è un’inquadratura. Parte dal basso, da terra. […] In un gran silenzio, si sente una cosa forte, e questa cosa forte spezza tutto e dice: “Uepaaa!” […] Voglio vedere che non succede nulla, che non si dimena niente, che tutto sta fermo nonostante una canzone così che dice uepa e che quando c’erano ancora tutti, appena la canzone era circolata un po’, si mettevano a fare passetti in stile spagnolo».
La voce narrante della protagonista è alla ricerca di fantomatiche immagini di famiglia che si trovano nei cassetti di una lontana, quasi irraggiungibile, casa della nonna con cui poter testimoniare la veridicità di un’esistenza e dei rapporti tra le persone. Ma prima di arrivare a tale traguardo bisogna avvicinarsi per gradi, sia attraverso una catena di ricordi, sia con uno sgabello, unico oggetto davvero importante, con cui poter migrare facilmente da un monolocale all’altro, senza aver alcun legame con i luoghi. Il monologo si sofferma su particolari apparentemente insignificanti che diventano fondamentali nell’ottica di questa Milano lunare: le minigonne, le auto verdi come insetti, l’organizzazione di un nuovo calendario.
Più si avanza nella lettura di Sgabello, più il romanzo si delinea come una particolare e ben riuscita invenzione narrativa: i pensieri stralunati e le considerazioni sono infatti interrotti da frammenti di dialoghi e ricordi che raccontano il rapporto con un padre assente. L’autrice stessa insinua il dubbio tra le righe: il genere umano è davvero scomparso o la vicenda è talmente intima che tutte le persone di questo mondo è come se non esistessero affatto? Sicuramente è vero che Sgabello narra, con pessimismo, una crescita sentimentale e una presa di coscienza della miseria umana.
Mattia Filippini
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