Gli anni al contrario

Autore: Nadia Terranova
Casa editrice: Einaudi Stile Libero
Pagine: 144

Una delle più note poesie di Sanguineti finisce con il verso: «Oggi il mio stile è non avere stile»; a scuola invece ci hanno insegnato fin da subito che bisognava distinguere la forma e il contenuto, e che c’era uno stile adatto per ciò di cui scrivevamo.
Nel romanzo d’esordio di Nadia Terranova, Gli anni al contrario, l’impronta stilistica c’è: l’(apparente) assenza di stile. Apparente perché anche la presunta assenza è essa stessa una scelta per meglio far risaltare ciò che più sta a cuore a chi scrive: dare uno spaccato della recente storia italiana attraverso la storia sentimentale dei due protagonisti.

Ambientato a Messina – una città che è provincia e periferia perfino in Sicilia – inizialmente nel giugno del 1977, il romanzo vede come protagonisti Giovanni, uno studente universitario che aspira ad avere un ruolo riconoscibile nella lotta armata di quegli anni e figlio di un prestigioso avvocato comunista, e Aurora, studentessa dalle simpatie sinistrorse anche se figlia di un genitore fascistissimo, ingombrante e severo.
I due si innamorano, si sposano con rito civile e decidono – foraggiati dai genitori – di convivere in un piccolo appartamento («Non dobbiamo chiuderci – le ricordò Giovanni –, la famiglia è solo parte di un progetto più grande»).
Da questo punto in poi il romanzo si concentra sulle vicissitudini sentimentali della coppia, fortemente tormentata dallo squilibrio fra gli ideali e la realtà («e non ripeteremo gli stessi sbagli perché avremo imparato dall’esperienza, che poi è la somma di tutte le cazzate fatte»).

La descrizione psicologica dei due protagonisti è priva di qualsiasi increspatura, Giovanni e Aurora emergono in tutta la loro complessità. Nel raccontare il lento scorrere del tempo, gli allontanamenti e avvicinamenti della coppia, l’impatto della Storia (gli anni di piombo, il dilagante uso di droghe) sulla vita delle persone, Nadia Terranova mette in luce il suo talento di narratrice.
Si tiene alla larga da moralismi e condanne, evita sentimentalismi e cliché, dimostra una grazia tutt’altro che scontata quando ci si confronta con temi come il terrorismo, le crisi di coppia, la malattia.
Una grazia che a tratti ricorda il Bajani di Se consideri le colpe.

Se inizialmente la scelta di far parlare poco la scrittura e tanto i personaggi (e anche la Storia, a suo modo, seppure immersa in una piccola città) poteva lasciare qualche perplessità, alla fine si rivela senz’altro azzeccata.

Giuseppe Rizza

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