Tutti gli altri

Autore: Francesca Matteoni
Titolo: Tutti gli altri
Pagine: 102

 

 

Francesca Matteoni ha collaborato per anni con Nazione Indiana come redattrice. È, per fortuna, una poetessa difficile da catalogare nel panorama contemporaneo – i suoi versi sono felicemente infestati da esseri provenienti dai paesaggi del Nord – e ora debutta con il suo primo romanzo nella nuova collana di narrativa della Tunuè, diretta da Vanni Santoni.

In Tutti gli altri l’autrice riporta episodi – cruciali, formativi, dolorosi o in apparenza insignificanti – della propria vita, rielaborandoli in una forma ibrida che è racconto e romanzo senza essere probabilmente né l’uno né l’altro: un palazzo costruito su fondamenta immaginifiche e naturalmente imbevute della sua esperienza poetica.

La narrazione comincia raccontando l’infanzia felice – le estati trascorse fra le pinete e le spiagge di Follonica, e subito trasfigurate nel freddo artico dall’immaginazione della nonna –, fin dal riuscito incipit: un gioco d’affabulazione intorno alla figura di Pinocchio, dove già da bambina emerge la vena dark e oscura della protagonista.
Il racconto si snoda poi lungo l’adolescenza selvatica, i viaggi nel nord Europa, la permanenza a Londra, tessendo una rete affollata di affetti e sentimenti verso persone (gli amici, gli amori, la madre) e animali (i gatti dell’infanzia, un coniglio che muove a pietà, un orso «inseguito» nel ghiaccio finlandese). Ma se inizialmente quest’ammasso di ricordi potrebbe apparire simile a quello di altre esperienze, è lo sguardo di chi osserva e scrive a fare la differenza, uno sguardo allenato ad andare a capo («[…] un piccolo bacino d’acqua stagna, pullulante di girini. Capocchie nere, cieche, che ci sgusciavano tra le mani, appena più consistenti dell’olio. Bastava un movimento brusco per ucciderli e nemmeno una goccia di sangue ci macchiava le dita. Trascorrevamo ore a pescarli con i bicchieri di plastica»).
Schegge di ricordi che vengono trattati con estrema delicatezza di toni, infondendo, anche quando si toccano argomenti spinosi – come la rielaborazione del ricordo di un caro amico morto suicida – empatia e immedesimazione nel lettore («Chi non sa niente dei suicidi se li immagina depressi da lungo tempo, lugubri, poco inclini all’euforia, con un’infelicità ostentata o un’esagerata timidezza che li ingrigisce sul fondo delle strade, e invece il suicida ha una disperata brama di vivere e un entusiasmo chiuso a cerniera sulla sua felicità»).

È difficile quindi non sostenere come l’esperienza della scrittura in versi abbia contribuito a costruire anche la lingua narrativa dell’autrice pistoiese: qui la poesia è al servizio della prosa («L’occhio ciclopico dei semafori ingoiava le strade») e ossigena le parole senza appesantirle, evitando il rischio di risultare stucchevole o poco circoscritta al testo. Le immagini liriche presenti in Tutti gli altri sono infatti sapientemente bilanciate e non appaiono mai forzate o staccate dal resto della narrazione.

Giuseppe Rizza

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