Il gregario

Autore: Paolo Mascheri
Casa editrice: Minimum Fax
Pagine: 173

“Tu ce la puoi fare, tu ce la puoi fare in tutto nella vita. Ma il punto è questo: vuoi essere un leader o un gregario?”.
Sin dalle prime pagine del romanzo Paolo Mascheri delinea con grande precisione un protagonista negativo, mediocre nella mediocrità che lo circonda. È un uomo che, avendo privilegiato tutta la vita la via più semplice (la professione del padre, la ragazza del liceo…), ha perso qualsiasi forma di passionalità. Si ritrova immobile in un presente facile da gestire ma inappagante, estraneo alle sue aspirazioni, che peraltro tardano a rivelarsi. Ventottenne, conserva ancora la goffaggine adolescenziale, tipica di chi non sa dove stare nel mondo, di chi, incompleto, si sente inadeguato persino per la fuga, “anche quando è libero di fuggire – la gabbia è aperta e l’animale ha davanti a sé la libertà – rimane bloccato e non fugge”. Ogni possibile (e prudente) virata dalla rotta che segue pedissequamente da anni non rappresenta mai una soluzione ma sempre un tentativo fallimentare, un passo da ricalcare indietro al primo tentennamento. Andrà a vivere da solo per poi ritornare in famiglia, tenterà di frequentare Yulia, una ballerina dell’est, per poi ritornare alla sua Ilaria. Neppure lo sforzo di allontanarsi dal padre, aprendo una sua parafarmacia, porterà a buon esito.
Gli eventi nella trama de Il gregario sono funzionali a fornirci un ritratto del mondo interiore del protagonista (rappresentante dell’Italia contemporanea). Tutti i rapporti si sviluppano coerentemente (soprattutto la difficile e penosa relazione padre-figlio) con il personaggio che “in definitiva è un tipico prodotto della società dell’immagine. Ama la pornografia più del sesso”.
Lo stile è asettico, fermo. L’autore non si compiace mai della propria lingua ma la mette al servizio del senso del romanzo. La scelta stessa di utilizzare la terza persona all’inizio ci allontana chirurgicamente dal personaggio, sembra difficile empatizzare. Eppure concluso il libro rimane un senso intimo di desolazione, di vergogna quasi, per essersi ritrovati simili al protagonista o immersi nella stessa situazione: avere delle possibilità e non saperle sfruttare, non essere unici ma dolorosamente sostituibili. Si può tranquillamente affermare che nella scrittura di Mascheri non c’è nulla che non affondi le radici in un profondo sottotesto. Anche se talvolta troppo manifestamente, il romanzo è la dimostrazione ben riuscita di un teorema enunciato nel primo capitolo: “Gli torna in mente un’immagine di quando era bambino e giocava a carte con la nonna. Se le capitava un asso, lei lo toglieva dal mazzo e lo passava a lui. In cambio lui le dava una carta che non valeva niente, e in questo modo vinceva sempre. Adesso le carte che ha in mano sono buone. Non ha dubbi. Eppure non sono abbastanza buone come vorrebbe”.
Giulia Ottaviano
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