Cate, io

Autore: Matteo Cellini
Casa editrice: Fazi Editore
Pagine: 216

Sull’onda del successo dei vari format a tema food, da Masterchef fino a Bake Off e compagni, si potrebbe utilizzare una metafora culinaria per sintetizzare il potenziale di Cate, io, romanzo d’esordio di Matteo Cellini, vincitore del Premio Campiello Opera Prima 2013. Se ne potrebbe parlare infatti come di un sontuoso gateau al cioccolato, una ricetta semplice eppure di sicuro effetto, destinata a conquistare i palati dei più, senza scordare però che lo spauracchio dell’indigestione incombe appena dietro l’angolo, appena sotto il ricciolo cremoso di una frase ben tornita.

Del resto, la Caterina del titolo, diciassettenne patologicamente obesa, alle prese con il disagio evidente conferitole dalla sua condizione, non lesina né sul cibo né tantomeno sulla meravigliosa architettura dei suoi pensieri. Dotata di un’intelligenza superiore alla media, investe completamente su di essa il proprio riscatto, affrontando da supereroina silenziosa e distante da tutto e da tutti la temibile soglia dell’adolescenza, in un orizzonte da lei immaginato come spaccato a metà. Un orizzonte dove le persone stanno da una parte mentre le «non persone», gli obesi come lei e la sua famiglia di «eroi della dismisura», restano confinate in una specie di dimensione parallela, una boccia di vetro dilatante e rassicurante agli occhi dei «normali».

Cellini riesce a tratteggiare con grazia i contorni di un personaggio in cui non è affatto difficile immedesimarsi, poiché, obesità a parte, in realtà lo stigma più profondo con il quale Caterina deve fare i conti è quello, comune a ogni essere umano, di riuscire a sciogliere il nodo emotivo insito nel delicatissimo passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, portando a termine, nel modo più indolore possibile, il difficile processo di autodeterminazione e accettazione di sé. E infatti, tornando al personaggio di Caterina, la sua voce solista e solitaria, che disegna le strade percorse dal romanzo, è potente e incisiva, venata di contraddizioni e idiosincrasie che rendono Cate un personaggio complesso e multi sfaccettato, una ragazza intelligente e acuta, ma al tempo stesso priva di autostima ed egoista, disposta a interpretare il mondo esclusivamente in base alle proprie categorie di pensiero, senza ammettere altre soluzioni, senza accettare altri dolori o altre gioie che non siano le sue, perché la verità di Caterina asfalta ogni possibile obiezione, la sua dialettica ipertrofica sottomette ogni spiraglio di confronto.

Il punto di svolta del romanzo, che coincide con un rito di passaggio liminare, risiede proprio nel cambiamento di prospettiva della protagonista, la quale affronta la sua crescita, e non solo la propria diversità fisica, in modo drammaticamente traumatico, ritrovandosi a dover capovolgere il sistema di valori adottato fino a quel momento, aprendosi al dubbio, spezzando il lucchetto del proprio ego in favore di un tentativo di maggiore comprensione del mondo fuori dai libri e fuori da sé. Per vivere ad ogni costo, finalmente, piuttosto che immaginare quello che invece «succederebbe se».

Il romanzo di Cellini è dunque inquadrabile nei termini più classici del tradizionale romanzo di formazione: impasta e amalgama tutta una serie di ingredienti già noti – quante volte abbiamo incontrato, soprattutto nelle commedie giovanilistiche americane, il topos della rivincita della secchiona, del brutto anatroccolo che alla fine diventa cigno durante il ballo di fine anno o si mette in luce davanti a tutti per le sue doti intellettuali? – ma, mentre il lettore si aspetta che gli vengano proposti con la solita ricetta, lo scrittore invece scombina le dosi e, pur arrivando al lieto fine canonico, costruisce un percorso interessante e profondo. Certo, lo stile di Cellini, piacevole ma a tratti magniloquente e barocco, in alcuni momenti finisce per sopravanzare la stessa Cate, dando adito a passaggi farraginosi e fuori fase, in una sorta di bulimia espressiva che ricerca l’effetto «fuoco d’artificio» a tutti i costi e intacca, seppur marginalmente, la compattezza complessiva del personaggio. Il ruolo predominante e prepotente di Cate, d’altro canto, non demolisce il peso degli altri personaggi, ciascuno dei quali, dai familiari alla prof fino alla compagna di classe, mantiene una propria dignità al punto tale che risulta interessante rilevare, alla fine, il gap esistente tra l’interpretazione data da Caterina a ciascuno di loro e il disvelamento della loro effettiva realtà. Insomma, Cate, io rielabora il concetto di «vita» e «forma» di pirandelliana memoria e lo rivitalizza, collocandolo nella storia di un personaggio che possiede un cuore pulsante che esonda dalla semplice pagina scritta. Abbiamo a che fare con un piatto piuttosto elaborato, con diverse stratificazioni di gusto e gradazioni di piacere: impossibile resistere alla tentazione di «addentarlo» voracemente, anche a costo di percepire in bocca, tra i tanti sapori gradevoli, il retrogusto accennato di qualche nota leggermente amarognola.

Elisabetta Pasca

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