In casa di Francesca
di L.R. Carrino

In casa di Francesca c’è un geranio rosso, un salone ampio e due finestre aperte ad ovest. Nel salone il divano a fiori gialli, un cuscino maltrattato di lato. Davanti al divano un tavolino basso di vetro, sul tavolino un portaciddì da 50 pieno di Mina e di Fossati, due macchie di caffè, una merda di mosca, una penna rosicchiata, 5 dischi dei Subsonica impilati secondo l’ordine cronologico di uscita, una bolletta del telefono da 450 euro, una candela profumata e mezza consumata, della cera sul vetro. Davanti al tavolino uno scaffale tipo magazzino, a 3 piani. Sul piano centrale il televisore acceso da ieri notte, a volume basso fa un ronzio di voci basse e, appena sotto, il DVD, la play, lo stereo. Sul piano in alto l’orologio della Swatch, regalo di qualche tempo fa, poi le casse per l’Home Theatre.

 

> Eccomi
> Che notizie mi dai? Come stai?
> Io sto bene, grazie
> E i cagnolini?
> Pippo dorme al solito sulla poltrona, Sara invece preferisce stare sul letto. Ma si sentono soli, loro due. E tua madre? Come sta?
> Niente di nuovo. Negli ultimi tempi è ingrassata molto
> Capisco… La casa?
> La lavatrice perde molta acqua, ne comprerò una nuova
> Sarà il caso
> Già
> Hai mangiato?
> Sì, un’ora fa
> Ma non è presto per cenare?
> Prima tornavo tardi la sera, dal lavoro, adesso non torno più
> Hai preso poi un altro cane?
> No. Credo che prenderò un gatto

 

In casa di Francesca vedo le voci precipitare dal balcone, il balcone del salone, in casa di Francesca. Vedo le voci che camminano, ne guardo il rumore come passi sul pietrisco. In casa di Francesca il salone ampio di solito è luminoso, c’è un tavolino di vetro, un tavolo di vetro più grande, due sedie. Il televisore è acceso. Sullo schermo c’è MCS mattutino e il mio riflesso. Nel riflesso c’è la tazzina del caffè, una parte del mio braccio proprio nella bocca di Costanzo, un angolo del tavolo grande. Sul tavolo grande sento che c’è un piccì, al piccì ci sono io che faccio rumore di tasti, il televisore è acceso e sento rumore. C’è molto rumore intorno, fuori, dentro, anche nelle ore buie. Qualcosa che manca ha bucato le finestre, un grido credo, e certe volte fa molto freddo nonostante sia estate ormai, sono senza riscaldamento. Mi sono affacciato per guardare la provenienza del rumore, un poliziotto da una moto urla: «Ok, adesso fate passare l’ambulanza». Volevo davvero capire cosa stesse succedendo, ma ho guardato in alto e ho pensato di filmare con la mia Panasonic digitale tutte le trecentosessantacinque sere della luna, con la mia voce che scava in quei crateri lontani, fase dopo fase mentre fuori la neve, adesso.

 

> Ciao. Non ti sei staccato un attimo
> No, è che lascio sempre on line, ho l’abbonamento Alice
> Che dice Costanzo?
> Nulla di che. Ha la fissa delle sette sataniche
> Mangiato?
> È presto. Magari più tardi, forse. Un panino. Mi è arrivata una mail!
> Allora ci sentiamo dopo
> Ok, a dopo. È una mail importante, la stavo aspettando
> E il mio file?
> Il file? Sì, scusa. Me ne ero dimenticato. Te lo invio subito
> Grazie. Ciao J

 

Ci sono giorni che mi sento vincitore sulle parole. Succede quando faccio il caffè o avvio la lavatrice. Ma anche quando lavo i vetri delle finestre, se decido di cucinare qualcosa di buono, di rosso, carne semmai. Una volta deciso il da farsi il mio fisico esegue in automatico, e posso impegnare il pensiero in qualche giochino divertente. Mi vengono fuori tutti i sinonimi per descrivere quello che sto facendo. Lavare, ad esempio. Mi viene fuori «candeggiare», «smacchiare», «strofinare», «frizionare», «nettàre», «astergere». Le parole mi capiscono, sanno dove vanno i loro suoni quando dalla bocca mi escono solo fruscii. Perciò vinco, perché si piegano, loro le parole, al mio significato. Sono io che decido cosa voglio dire.

So che vuoi tutto in ordine, nessun granello sparso, nulla che sfugge alla pulizia totale, globale, giornaliera. Una volta c’era la tipa delle pulizie che veniva tre volte a settimana. Adesso mi occupo io della casa. Ho tanto di quel tempo a disposizione.

Non lavoro più. Ho smesso.

 

> Ero sceso di sotto
> Sì? Per comprare le sigarette, immagino
> Non solo. Dovevo controllare la cassetta delle lettere
> Ma non l‘hai controllata già stamattina?
> Sì, ma la posta arriva due volte al giorno. A volte arriva in ritardo
> Il file non mi è arrivato
> Ancora? Ma se te l’ho mandato prima di scendere!
> Non c’è L.
> Te lo rimando
> Grazie. Che dice la tua mail?
> Quale mail? Quella dell’oroscopo?
> Non so, quella di prima. Te n’è arrivata un’altra?
> Sì. Quella di prima era dal meteo. Domani pioverà. Stasera pioverà. C’è un vero temporale in arrivo, adesso piove
> Ricordati di non stendere sul terrazzo
> Certo. Domani comprerò uno stenditoio nuovo

 

È ora di pranzo. Oggi il salone ampio e luminoso, in casa di Francesca, non è luminoso. Fuori l’aria ha il colore del mio monitor quando è spento, l’aria entra nel salone per spandersi sulle pareti come un nero di seppia. Un’invasione, direi, di seppie.

Metto su i Subsonica, Microchip Emozionale, il mio preferito fra i 5. Le pennette rigate fumano nel colapasta, il sugo è pronto. Apparecchio sul tavolo grande, nel salone, vicino al piccì. Un bicchiere di vino, solo uno ma rosso.

Penso che vorrei sapere a cosa pensi in questo momento, quali immagini ti passano per la testa. Sembri assopita, a tratti la finestrella mi avverte che stai scrivendo un messaggio, ma non mi arriva nulla, nessuna lettera. Lo so, ci sono persone nella nostra vita che ci accompagnano per un tratto più o meno lungo, e fuori l’aria ha il colore dell’acqua dove bolle il riso. Ci sono notti che sono più notti di altre, una falena stupida cerca di entrare nella luce della palla di vetro, chiusa.

Avevo il geranio, chissà cosa nasconde la terra che è rimasta. Solo la terra.

 

> Sai che facciamo?
> No, dimmi
> Ti copio-incollo il contenuto
> Va bene. Ma qui, su Messenger?
> Certo. Magari faccio un taglio, ti mando solo quello che ti interessa
> Magari
> Aspetta un momento
> E chi si muove J
> Ecco qua: Si conoscono tre specie di Leishmania: kala-azar, responsabile della malattia viscerale, leishmania tropica e leishmania brasiliensis. È una malattia sistemica protozoaria della pelle
> Grazie
> Di nulla. Ma non potresti trovarti da sola queste informazioni?
> Sì, ma non ho tempo. Tu hai letto il file?
> No, ho avuto da fare con Anastasia
> Anastasia? E chi è?
> La gatta

 

Sento le parole che arrivano nel mio sonno pomeridiano, sento che arrivano, si staccano dal monitor che ho lasciato acceso e arrivano in punta di vocali, come «tergere», come «mondare».

Mi alzo, in casa di Francesca, che caldo che fa, non ce la faccio a dormire sul divano. Il cielo è scuro come il fondo di una casseruola d’alluminio, annerita dal gas. Sento l’estate che finisce. Questa cosa di cucinare ancora in pentole d’alluminio, lo sa Francesca? Che è velenoso, lasciarci, lasciarci dentro il cibo. Vorrei andare di là a lavare le stoviglie, a caricare la lavastoviglie, comincerà di certo a piovere fra un po’, che freddo. Mi alzo e vado alle finestre del salone a spiare, da una fessura, il parcheggio che riesco a vedere da qui. Non c’è nessuno. Non si muove una macchina, restano tutte in fila. La luce gialla dei lampioni, la nebbia oggi, non vedo nulla.

Mi perdo gli occhi girando nel parcheggio vuoto, mi perdo i pensieri. Vedo il pensiero della notte scorsa girare a vuoto nel parcheggio vuoto, il pensiero che ho fatto quando ho pescato un luccio enorme nel mio sogno. Ero su un fiume, sai che io amo il mare, anche se ne ho paura, non avevo una barca, ma avrei voluto segnalare sul mio diario di bordo il tuo nome tutte le volte che la bonaccia è venuta a trovarmi. Ma ero sul fiume, con il luccio, ho pensato di vedere il tuo cadavere passare, come un proverbio da rispettare. Come se mi avessi fatto male, come se tu fossi mia nemica.

Il cielo è scuro come la mia faccia sotto la barba folta. Guardo nella fioriera davanti alla finestra. È piena di scheletri essiccati di mosche. Che fine ha fatto il geranio?

 

> Non spegni mai?
> Cosa?
> La connessione
> No
> Dovresti
> Non voglio
> Mi manca la tua voce
> Non riposi un po’?
> No. Faccio brutti sogni
> Che sogni?
> Cioè, non sono sogni, ma pensieri
> E che pensieri?
> Brutti L
> Cattivi?
> No, pensieri brutti
> Cioè?
> Penso che
> Che?
> Che tu possa svanire

 

Sento lo sciabordio del mio umore a metà giornata, sento dolore, sento che manchi fisicamente, sento che vorrei ucciderti, sento che tu sei stata ingiusta nel lasciarmi qui con la tua voce muta. Sento, sento che sono un marinaio ubriaco con la gamba di legno, sento il rhum che brucia nello stomaco, sento che vuoi svanire e io ho braccia e mani. Dimmi: cosa vorresti io sia? Come hai fatto ad entrare lì dentro?

 

> Francesca
> Sì. Sono qui
> Posso venire da te?
> Hai letto il file?
> Perché mi fai sempre domande?
> Come? Quali domande?

 

Il pomeriggio è scivolato via come un’occhiata nella toppa della serratura. In casa di Francesca c’è una porta. La porta è chiusa da un anno. La porta è chiusa da due anni. La porta è chiusa da cinque anni. Dietro la porta c’è la camera da letto mia e di Francesca. Nella camera c’è un letto mai più rifatto. Sul letto c’è il mio pigiama azzurro con le mucche stampate, e ci resterà almeno per tutto il tempo che importerà qualcosa. In casa di Francesca c’è una cosa che importa ci sia. In casa di Francesca c’è la mancanza. La mancanza è quella di Francesca. Seduto davanti al piccì parlo con Francesca, rimasta non so dove, non so come ma rimasta. Non so che corpo ha, se ce l’ha un corpo, dove dorme, se dorme, ma so che posso parlarci quando voglio su Messenger e ha con sé i suoi due cagnolini. I cagnolini si sono ammalati nel viaggio che abbiamo fatto in Africa, ma ce ne siamo accorti troppo tardi.

 

È sera, piove forte, la pioggia obliqua sbatte feroce sui vetri del salone ampio e luminoso, in casa di Francesca che non è più sua perché Francesca non c’è più. Di mattina vado a fare la spesa, ogni tanto.

Nel file c’è anche una sua foto, su una spiaggia immensa, il mare alle spalle, l’oceano africano, alle sue spalle uno stormo di fenicotteri rosa che si sta levando in volo, spaventati dai suoi due cagnolini, nell’angolo in basso riconosco la coda di Pippo. Francesca sorride, un po’ girata con la testa, un po’ si protegge il viso, è felice.

Leishmaniosi, bottone di Aleppo, bottone d’Oriente, è una malattia della pelle. La malattia colpisce i cani ed i roditori ed è trasferita all’uomo dalla puntura di diverse specie di moscerini, come i flebotomi. Dipende dal tipo di parassita e dall’immunità della persona colpita ma si presenta sotto forma di ulcera cutanea o come forma progressiva che sfigura chi ne è affetto. Kala-azar è la forma più grave: il parassita si moltiplica ed attacca il sistema immunitario. I sintomi principali sono: febbre, dimagramento, anemia. La malattia ha esito letale se non trattata adeguatamente e tempestivamente dopo la comparsa dei sintomi.

 

> Perché non me lo hai detto?
> Lo hai dimenticato

 

Ci sono giorni che mi sento vincitore. Ci sono sere che mi sento stanco e vado a dormire presto, sul divano. Ci sono notti che mangiano. Ci sono notti che pronuncio parole senza senso, «trombocitopenia», «leucopenia», «epatomegalia», «linfoadenopatia». Ci sono notti che non apro nessun file e dormo sul divano o nel letto a cassettoni, ci dormivo da ragazzo, l’ho portato qui ieri. Ci sono pomeriggi in cui vorrei scusarmi con Francesca, sul divano a fiori gialli, in camera da letto, parlare alla luna, nella notte del solstizio d’inverno. Ci sono giorni come una sera che sono sul punto di mettermi a letto, che sono appena tornato dopo una settimana continua al tuo capezzale, ma poi c’è il telefono che squilla e mi dice una cosa cattiva, non dice nulla, mi dice di correre immediatamente. Allora io mi rivesto, mi spoglio, scendo giù in garage, prendo la macchina, vado all’ospedale, faccio un giro, rientro, mi spoglio, mi addormento, mi sveglio.

 

> Scusami
> E di cosa?
> Quella sera io, io non c’ero. Ero tornato a casa per
> Niente, non preoccuparti
> Davvero? Non sei arrabbiata?
> No, figurati. Te l’ho detto anche ieri. Vai a dormire adesso
> Sì
> Spegni tutto. La bolletta della luce è anche aumentata, del 2% mi pare
> Sì, hai ragione. A domani
> A domani
> Amore?
> Sì, dimmi
> Spegni tutto
> L’ho fatto. C’è altro che devo spegnere?
> Tu che dici?
> No, nulla
> Va bene, buonanotte allora
> Buonanotte
>
>
>
>
>
>
>
> Francesca?
> Sì, sono qui

 

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